Profili di illegittimità sottesi all'inclusione nella base imponibile Iva del contributo integrativo devoluto alle Casse previdenziali.
di Andrea Bugamelli
Base imponibile Iva e contributo integrativo:
Il contributo integrativo costituisce obbligo contributivo per buona parte dei liberi professionisti iscritti alle Casse di previdenza di categoria. Tratto comune del contributo integrativo è di essere calcolato in percentuale stabilita dalla legge sul compenso ricevuto per la prestazione d'opera.
Con la promulgazione dell'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, il legislatore è venuto incontro alle esigenze erariali e ha stabilito l'assoggettabilità ad Iva del contributo integrativo. La previsione, valevole per tutti gli iscritti alle Casse di previdenza e assistenza, incontra forti dubbi sulla sua compatibilità rispetto all'ordinamento comunitario, dubbi che, se suffragati, metterebbero in forse la legittimità di una parte dell'imposizione non trascurabile del gettito Iva.
L'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, è stato graziato - e si vedrà che il termine non viene affatto abusato - dalla Corte Costituzionale con sentenza n. 156 del 1997, senza però che sia stata analizzata la questione. Il giudice di merito aveva palesato un sospetto contrasto con l'art. 33 dell'allora vigente VI° Direttiva CE, che prescriveva il divieto di introdurre disposizioni impositive aventi carattere di imposta sulla cifra d'affari. La Corte Costituzionale si limitò ad eccepire la carenza di valutazione da parte del giudice remittente se la norma nazionale trovasse giustificazione nell'art. 11, VI° Direttiva CE, nella parte in cui stabiliva che la base imponibile comprendesse imposte, tasse e prelievi.
Dunque, la Corte Costituzionale non ha affermato la legittimità della disposizione nazionale e il rilievo del vizio congenito dell'ordinanza di rimessione ha lasciato tuttora aperto il dibattito. Sembra quindi doverosa una nuova riflessione sulla legittimità o meno dell'inclusione del contributo integrativo nella base imponibile Iva, oggi più che mai che si assiste alla crescente incisività del prelievo fiscale derivante dall'incremento dell'aliquota Iva ordinaria al 22%, dalla parallela elevazione del contributo integrativo dal 2% al 4% e dagli eventuali, ma già programmati, successivi aumenti sempre dell'Iva.
La giurisprudenza della Corte di Giustizia Ce:
Nel procedere all'analisi della problematica è opportuno rammentare preliminarmente che la Corte di Giustizia Ce, con sentenza resa nella causa C-347/92, ha accertato che il contributo integrativo non presenta nessuna delle caratteristiche essenziali dell'Iva e pertanto non costituisce duplicazione dell'imposta.
Quindi, l'eventuale illegittimità della norma in parola va affrontata sotto altre spoglie, sottoponendo ad indagine la compatibilità dell'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, con i principi informatori dell'Iva racchiusi nella Direttiva CE n. 112 del 2006, che è subentrata alla precedente VI° Direttiva CE, lasciando peraltro sostanzialmente immutata l'impronta normativa.
Estraneità del contributo integrativo al concetto di corrispettivo:
Si potrebbe cogliere un'apparente legittimazione dell'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, nella parte in cui l'art. 73 Direttiva CE n. 112 del 2006 afferma, in via generale, che la base imponibile comprende tutto ciò che costituisce il corrispettivo versato o da versare al prestatore d'opera.
Tuttavia, si rammenta che il contributo integrativo deve essere versato alla Cassa di appartenenza direttamente dal professionista, il quale ha la facoltà di ripetere l'importo verso il cliente. Tra le fattispecie più rilevanti che sanciscono la ripetibilità del contributo integrativo si citano l'art. 11, L. n. 576 del 1980, per gli esercenti l'attività forense, l'art. 11, L. n. 21 del 1986, per i dottori commercialisti, l'art. 11, L. n. 773 del 1982, per i geometri, l'art. 12, L. n. 414 del 1991, per ragionieri e periti commerciali, l'art. 10, L. n. 6 del 1981, per ingegneri e architetti.
Su questo presupposto, il contributo integrativo non sembra qualificabile come parte del corrispettivo, perché si tratta di un'obbligazione estranea al sinallagma contrattuale, che non trova la propria fonte nell'accordo tra le parti, bensì nella legge attributiva della facoltà in capo al prestatore d'opera di ripetere la somma verso il cliente.
Si tenga conto che - seppure in via generale i contributi di natura previdenziale ed assistenziale vanno dedotti nella fase di determinazione del reddito professionale ai sensi dell'art. 54, co. 1, D.P.R. n. 917 del 1986 - il contributo integrativo, ripetuto dal professionista nei confronti del proprio cliente, non concorre alla formazione del reddito professionale, né può essere portato in deduzione ai sensi dell'art. 54, D.P.R. n. 917 del 1986, (sul punto Cass. civ., sez. trib., n. 8258 del 2008).
Dunque, sarebbe illogico qualificare il contributo integrativo come parte del corrispettivo ai fini Iva nonostante esso sia pacificamente estraneo alla formazione del reddito Irpef giacché, ancorché le basi imponibili dei due tributi siano differenti, trattasi di concetti comuni all'intero diritto tributario (sulla tendenziale unitarietà delle basi imponibili per tributi diversi Cass. civ., sez. trib., n. 19321 del 2006; Cass. civ., sez. trib., n. 4381 del 2011).
La conferma indiretta che il contributo integrativo non costituisca corrispettivo giunge dalla fase patologica del contratto: nell'ipotesi in cui sopravvenga la risoluzione del contratto d'opera per inadempimento del professionista, le somme pagate a titolo di corrispettivo (in senso stretto) andrebbero restituite per sopravvenuta mancanza del titolo contrattuale ai sensi dell'art. 1458 c.c.. Non altrettanto può dirsi, con altrettanta certezza, per il contributo integrativo: l'obbligo di pagamento in capo al cliente sorge dalla legge di cui il contratto è solamente presupposto di fatto; ergo la reintegrazione patrimoniale del cliente per l'importo corrispondente al contributo integrativo potrebbe dover avvenire a titolo di risarcimento danni.
La base imponibile Iva nel vigente ordinamento comunitario:
La Corte Costituzionale, nella citata sentenza, aveva invitato a valutare l'incidenza dell'art. 11 VI° Direttiva CE. Tale norma è stata oggi trasfusa nell'art. 78, Direttiva CE n. 112 del 2006, che dispone l'obbligatoria estensione della base imponibile Iva a imposte, dazi, tasse e prelievi. Non sembra che la previsione possa legittimare l'allargamento della base imponibile Iva al contributo integrativo.
La tesi negativa trova un primo avallo nella glossa adottata dal legislatore comunitario che – nel parlare di imposte, dazi, tasse e prelievi - lascia chiaramente intendere l'inclusione nella base imponibile esclusivamente delle imposizioni aventi natura tributaria. Il contributo integrativo non possiede simile carattere in quanto non è un prelievo di ricchezza esercitato coattivamente dallo Stato e non rappresenta una componente delle pubbliche entrate, duplice argomentazione suffragata dal D.Lgs. n. 509 del 1994, che ha attribuito personalità giuridica di diritto privato alle Casse di previdenza, alle quali appartiene la gestione esclusiva dell'emolumento. Inoltre, le eventuali controversie tra professionista e Cassa di previdenza, aventi ad oggetto il contributo integrativo, appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario e non di quello tributario (Cass. civ., SS.UU., n. 5287 del 2010).
Codesta diversità ontologica tra imposizione tributaria e contributo integrativo non può essere ricondotta ad unità per il solo fatto che quest'ultimo, al pari dei tributi, trova la propria genesi nella legge dello Stato; l'eccezione sarebbe oziosa perché le fonti dell'obbligazione civilista, ai sensi dell'art. 1174 c.c., formano un sistema aperto e ben possono discendere direttamente dalla legge (si pensi alla prestazione di alimenti ex art. 433 c.c.).
Infine, nel ricordare che il professionista ha facoltà di ripetere il contributo integrativo nei confronti del cliente, sembra assai difficile conciliare l'estensione coattiva della base imponibile di cui parla l'art. 78, direttiva CE n. 112 del 2006, con un addebito di stampo non obbligatorio e facoltativo.
Intrinseca incompatibilità tra contributo integrativo e tributo Iva:
L'inserimento del contributo integrativo nella base imponibile condurrebbe infine all'alterazione del meccanismo Iva. L'art. 1, Direttiva Ce n. 112 del 2006, detta il principio informatore dell'Iva quale imposta generale sui consumi, che ricade sul consumatore finale ed è invece neutrale rispetto al soggetto passivo.
L'Iva è strutturata su un andamento discendente tra i vari soggetti passivi, sino allo stadio finale del consumatore. Visti gli articoli 63 e 72, Direttiva n. 112 del 2006, è pacifico che la base imponibile si determina di regola al momento dell'espletamento della prestazione.
Nell'ottica proposta dall'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, avremmo una determinazione multifase della base imponibile - la prima coincidente con la conclusione della prestazione, la seconda con l'eventuale inclusione del contributo integrativo qualora il professionista decidesse di ripetere l'importo - che terminerebbe in un momento successivo a quello prescritto dalla Direttiva.
Oltretutto, lo sfilacciamento della determinazione della base imponibile è ancor meglio apprezzabile se si pensa che la ripetizione del contributo integrativo potrebbe avvenire in qualsivoglia momento, anche a distanza di anni dal pagamento del compenso; il che palesa la separazione ancor più marcata che corre tra corrispettivo e contributo integrativo.
In definitiva l'Iva, quale tributo sui consumi, è un prelievo da applicarsi sul solo corrispettivo di derivazione contrattuale; diversamente il contributo integrativo è avulso dal corrispettivo negoziale e trova fonte nella legge. Si aggiunga poi che l'art. 16, D.L. n. 41 del 1995, introduce una variante operativamente inconciliabile con il tributo Iva perché allarga la base imponibile in un passaggio eventuale e successivo al consumo.
Conclusioni operative:
Il contribuente che intenda confrontarsi con l'Agenzia delle Entrate per far valere la presunta illegittimità dell'art. 16, D.L. 41 del 1995, ha di fronte a sé due strade: non dichiarare e non versare l'Iva sul contributo integrativo oppure presentare istanza di rimborso e agire giudizialmente una volta formatosi il silenzio rifiuto.
Sulla questione sembrano sufficienti due appunti.
In primo luogo, il Giudice nazionale deve disapplicare la legislazione interna ricorrendo la duplice condizione - e sembra questo il caso - di contrasto con l'ordinamento comunitario e di un sufficiente grado di specificazione (trattasi delle c.d. norme self-executing) da parte della normativa sovranazionale, che può ritenersi direttamente operativa nell'ordinamento nazionale.
In secondo luogo, non sembra possibile per l'Agenzia delle Entrate disapplicare l'art. 16, D.L. 41 del 1995, nel corso del procedimento amministrativo perché la riserva di legge nell'azione amministrativa impone il rispetto della normativa nazionale, la cui disapplicazione rientra nelle competenze della sola magistratura.
Dunque sembra imprescindibile il passaggio agli organi giurisdizionali con approdo a quattro diversi esiti: 1) respingimento della domanda; 2) disapplicazione dell'art. 16, D.L. 41 del 1995; 3) Remissione degli atti alla Corte Costituzionale per sospetta violazione dell'art. 11 Cost. in relazione al contrasto con la normativa comunitaria; 4) Remissione degli atti alla Corte di Giustizia CE per verificare la sussistenza del predetto contrasto.