La prevalenza delle attività commerciale negli enti ecclesiastici riconosciuti e nelle associazioni sportive dilettantistiche
L'art. 149, comma 1, D.P.R. 917/1986, prevede che l'ente non commerciale perda tale qualifica, diventando quindi un ente di natura commerciale, allorquando eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo di imposta. Pertanto, al termine dell'esercizio è fondamentale che l'ente non commerciale veda un complessivo predominio dell'attività non commerciale su quella commerciale.
Nel comma 2 il legislatore ha fornito altri quattro parametri di cui tenere conto nella valutazione di prevalenza o meno della natura commerciale dell'ente ossia: le immobilizzazioni relativi all'attività commerciale; il valore normale delle cessioni e prestazioni afferenti l'attività istituzionale; la rilevanza e la natura non commerciale delle entrate istituzionali derivanti da contributi, sovvenzioni, liberalità e quote associative; le componenti negative dell'attività commerciale
Nell'art. 149, comma 4, troviamo una deroga fondamentale a questa condizione di prevalenza dell'attività istituzionale, essendo stabilito che le disposizioni dei comma 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche e alle associazioni sportive dilettantistiche.
Tale previsione è di primaria importanza, in particolare per le ASD, allo scopo di operare in condizioni di legittimità laddove, come sovente accade, le entrate di maggiore rilievo per queste associazioni sono le sponsorizzazioni, senza le quali l'attività sportiva non potrebbe essere prestata in favore dei tesserati, a meno di non incrementare notevolmente le quote associative o i contributi.
Fino ad oggi era dato per pacifico che per le suddette tipologie di enti – ecclesiastici e ASD – fosse tendenzialmente irrilevante la prevalenza dell'attività commerciale su quella istituzionale, proprio in virtù del ridetto art. 149, comma 4, TUIR. Chiarissima sul punto è stata anche la Circolare 18/E/2018 nel precisare che “In sostanza, le associazioni sportive dilettantistiche non perdono la qualifica di enti non commerciali ai sensi dell'articolo149 del TUIR”. Beninteso doveva sussistere una connessione tra le attività commerciali e gli scopi istituzionali.
Tuttavia, la recente pubblicazione di due sentenze della Corte di Cassazione va a mutare radicalmente il panorama, in senso peggiorativo. Infatti, Cass. 526/2021, emessa in relazione ad un ente ecclesiastico, e Cass. 17026/21, su un'associazione sportiva, hanno fornito una interpretazione di molto restrittiva dell'art. 149, comma 4, nel senso che la deroga al comma 1 varrebbe solo per un periodo di imposta e, per converso, se l'attività commerciale assume carattere prevalente rispetto a quella istituzionale per almeno due periodi di imposta l'ente diventerebbe di natura commerciale, con l'effetto che tutti i proventi andrebbero tassati come reddito di impresa, incluse quindi le quote associative e in generale le entrate connesse con l'attività non commerciale. Inoltre, si perderebbe l'agevolazione derivante dall'operatività del regime impositivo ex L. 398/91 (tassazione sul reddito determinato forfettariamente nella misura del 3% delle entrate commerciali).
La menzionata interpretazione fornita dalla Cassazione finirà con avere riflessi devastanti su molte realtà associative, tanto più considerato che potrà coinvolgere anche annualità pregresse, non consentendo, anche ammettendo che ciò sia praticabile, adattare il proprio modus operandi, pacificamente legittimo fino ad oggi, cessando di percepire proventi commerciali in misura prevalente su quelli istituzionali.
Le due statuizioni segnalate non paiono condivisibili in quanto la condizione della prevalenza dell'attività commerciale circoscritta ad un solo periodo non è né affermata nella norma né presupposta (“in claris non fit interpretatio”).
Ed anzi, nella fattispecie similare relativa alla prevalenza delle attività commerciali su quelle istituzionali degli Enti del terzo settore di cui al D.Lgs. 117/2017 (Codice del terzo settore), il legislatore ha proprio avuto cura di disporre, all'art. 79 comma 2-bis, che “Le attività di cui al comma 2 si considerano non commerciali qualora i ricavi non superino di oltre il 5 per cento i relativi costi per ciascun periodo d'imposta e per non oltre due periodi d'imposta consecutivi”. Questo evidentemente significa che, allorquando uno scostamento sia ritenuto ammissibile solo per un tempo circoscritto, l'ordinamento lo ha chiarito in modo esplicito; di qui la conferma ulteriore di quanto già risulta palese nell'art. 149, comma 4, Tuir, che la deroga del comma 1 non incontra limitazioni temporali.
A questo punto, pur con l'auspicio che il segnalato orientamento giurisprudenziale venga rivisto in seno alla stessa Corte di Cassazione, è opportuno, per la stessa sopravvivenza di migliaia di associazioni sportive, che il legislatore si faccia carico di promulgare una norma interpretativa dell'art. 149, comma 4, con la quale affermi a chiare lettere che la deroga ai commi 1 e 2 non è compressa ad un solo periodo di imposta, avendo invece carattere permanente.
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