NE BIS IN IDEM TRA SANZIONE PENALE E AMMINISTRATIVA
La problematica relativa all'interferenza tra sanzione penale e amministrativa si dimostra di particolare fermento alla luce della giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo, tendenzialmente favorevole a dare applicazione al principio del ne bis in idem quando lo stesso soggetto, per il medesimo fatto, sia colpito o possa essere colpito al contempo dalle due tipologie di sanzioni in questione.
Su tema ha riscosso notevole interesse la recente pronunzia della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo nella vicenda “Grande Stevens c. Italia” (Corte EDU sent. 04/03/2014, ricorso n. 18640/10), nella quale i ricorrenti sostenevano di avere subito un trattamento illegittimo per essere stati sanzionati in via amministrativa dall'autorità Consob e poi colpiti dalla sanzione penale (non ancora definitiva al momento della decisione della Corte EDU).
Nella sentenza in trattazione la Corte ha preliminarmente ricordato i criteri in base ai quali si può ravvisare una “accusa in materia penale” anche al di fuori del processo penale in senso stretto (sul punto Corte EDU Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976):
- qualificazione giuridica della misura afflittiva nel diritto nazionale;
- natura della misura in relazione al tipo di interesse generale tutelato e alla finalità preventiva e repressiva tipica della sanzione penale;
- natura e grado di severità della sanzione, ancorché di carattere pecuniario.
In proposito va precisato che tali criteri sono alternativi ma, qualora la loro analisi separata non consenta di pervenire ad una conclusione chiara in merito alla sussistenza di una “accusa in materia penale”, potrà soccorrere anche un approccio cumulativo (Corte EDU Jussila c. Finlandia, n. 73053/01; Zaicevs c. Lettonia, n. 65022/01).
Tornando alla vicenda “Grande Stevens c. Italia”, la Corte ha appunto ritenuto che le sanzioni amministrative previste dall'ordinamento italiano in materia di manipolazione del mercato, che erano state comminate dalla Consob, avessero natura sostanzialmente penale in base (i) alla natura del bene giuridico protetto, (ii) alla finalità repressiva e dissuasiva, (iii) alla gradazione della sanzione secondo la gravità della condotta e non in proporzione all'entità del danno, (iv) alla rilevante capacità afflittiva della sanzione pecuniaria e delle sanzioni accessorie.
La Corte EDU è giunta così a dare applicazione dell'art. 4, Protocollo n. 7, della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, che sancisce il “Diritto di non essere giudicato o punito due volte”.
Nel ponderare l'eventuale violazione del precetto, la Corte ha richiamato il proprio sedimentato orientamento che subordina l'operatività dell'art. 4, Protocollo n. 7, alla identità dei fatti per i quali si è chiamati a rispondere in via amministrativa e penale. Una volta verificato che la condotta tenuta dai ricorrenti, colpita da duplice sanzione di natura amministrativa e penale, fosse la medesima, è giunta a concludere che fosse stato violato l'art. 4 in parola. Dunque lo Stato italiano è stato richiamato ad una rapida chiusura del processo penale.
Va segnalato un altro interessante precedente della Corte EDU, nel quale si è ravvisata la violazione del ne bis in idem nei confronti del contribuente, il quale si era visto comminata una sopratassa per poi essere citato in giudizio nel processo penale per il medesimo fatto (sent. 20 maggio 2014 n. 11828/11 Nykaenen c. Finlandia). La peculiarità di tale decisione va rintracciata nell'entità modesta della sopratassa, pari ad € 1.700; evidentemente la Corte ha fatto giusta applicazione della alternatività dei sopra citati indici penalistici, tra i quali l'afflittività della misura rappresenta uno degli elementi che connotano l'accusa di tipo penalistico.
Si rammenta che in ambito tributario il rischio di violazione del principio del ne bis in idem viene temperato dall'art. 19, D.Lgs. 74/2000, ai sensi del quale “Quando uno stesso fatto è punito da una delle disposizioni del titolo II e da una disposizione che prevede una sanzione amministrativa, si applica la disposizione speciale”.
Tuttavia la concreta applicazione della norma da parte della giurisprudenza nazionale finisce talora per mortificare le esigenze di tutela del contribuente. Ad esempio si è negata l'operatività dell'art. 19 eccependo la diversità delle due fattispecie astratte penale e amministrativa (Cass. pen., sez. III, 08/05/2014 n. 30267) oppure richiamando e distinguendo il concetto di “progressione illecita” da quello di “specialità (Cass. pen., SS.UU., 28/03/2013 n. 37424).
Concludendo, sembra piuttosto agevole ravvisare nelle sanzioni amministrative pecuniarie per violazioni fiscali quel connotato penalistico di cui parla la Corte EDU, venendo soddisfatti tutti i quattro criteri, peraltro alternativi, della afflittività (sanzione di regola compresa tra il 90 e il 180%), della finalità repressiva e dissuasiva, del tipo di bene giuridico protetto (le entrate pubbliche tutelate dall'art. 53 Cost.) e della gradazione secondo la gravità della condotta.
Poi sarà compito della difesa del contribuente, il quale si trovi stretto tra i due procedimenti fiscale e penale, ponderare i tempi e i modi per sollevare l'eventuale eccezione del ne bis in idem.
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