Il rimborso spese per i contribuenti minini

 

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Oggetto: parere di massima sulla imponibilità ai fini delle II.DD. dei rimborsi spese per albergo, somministrazione cibo e bevande, trasporto - contribuenti minimi.

Ambito del parere di massima. Il Sig. (omissis), lavoratore autonomo, soggiace al regime fiscale dei c.d. “minimi” ex art. 27, commi 1 e 2, D.L. 98/2011, e si trova a consumare una rilevante parte del plafond di 30.000 euro per rimborsi delle spese di viaggio, vitto e alloggio che oggi transitano nelle sue fatture. Con l'ovvia conseguenza che, volendo rimanere nel suddetto regime premiale, la redditività reale dell'attività lavorativa è inferiore al fatturato ed il contribuente non riesce a sfruttare a pieno la soglia dei compensi.
In pratica il contribuente vorrebbe che i compensi fatturati rappresentino quanto più possibile l'effettiva remunerazione e non il mero rimborso delle spese.
Il contribuente chiede quindi di conoscere se è possibile, legittimamente, individuare una modalità di fatturazione o di svolgimento del rapporto lavorativo tale per cui le spese di viaggio, vitto e alloggio non siano da lui fatturate o comunque non entrino a far parte dei compensi ai sensi dell'art. 1, co. 96, L. 244/07, laddove prescrive la condizione del contribuente “minimo” di avere ”conseguito ricavi ovvero ... percepito compensi, ragguagliati ad anno, non superiori a 30.000 euro”.

Normativa generale. Per quanto concerne la determinazione del reddito dei contribuenti minimi, valgono le regole sancite in via generale dall'art. 54, D.P.R. 917/86 che incardina il reddito di lavoro autonomo sulla differenza tra compensi e spese.
Le Istruzioni del modello Unico2015 sul quadro LM precisano che: “Il reddito di impresa o di lavoro autonomo dei soggetti che rientrano nel presente regime è costituito dalla differenza tra l'ammontare dei ricavi o compensi percepiti nel periodo d'imposta e quello delle spese sostenute nel periodo stesso nell'esercizio dell'attività d'impresa o dell'arte o della professione”.
Per quanto concerne la determinazione dei compensi, proseguono le Istruzioni, “l'ammontare lordo complessivo dei compensi, in denaro e in natura, anche sotto forma di partecipazione agli utili, derivanti dall'attività professionale o artistica, percepiti nell'anno ... I citati compensi devono essere dichiarati al netto dei contributi previdenziali o assistenziali posti dalla legge a carico del soggetto che li corrisponde. Al riguardo, si ricorda che l'ammontare della maggiorazione del 4 per cento addebitata ai committenti in via definitiva, ai sensi dell'art. 1, comma 212, della legge n. 662 del 1996, non va considerato alla stregua dei contributi previdenziali e pertanto costituisce parte integrante dei compensi da indicare nel presente rigo”. Le Istruzioni ricalcano l'art. 54, co. 1, Tuir con la conseguenza che la prassi qualificata dell'Agenzia delle Entrate sulla problematica in oggetto nell'ambito generale del lavoro autonomo può essere estesa al regime dei minimi.
Va tenuto presente poi che queste stesse regole operano indifferentemente per i professionisti e per i lavoratori autonomi ai sensi dell'art. 53, co. 1, Tuir.

Spese di albergo e somministrazione di bevande e alimenti. Il riferimento normativo che regola tali rimborsi va in parte rinvenuto nell'art. 54, co. 5, Tuir, recentemente novellato. Nella formulazione in vigore fino al 31/12/2014, il comma 5 prevedeva che “Le spese relative a prestazioni alberghiere e a somministrazioni di alimenti e bevande sono deducibili nella misura del 75 per cento e, in ogni caso, per un importo complessivamente non superiore al 2 per cento dell'ammontare dei compensi percepiti nel periodo di imposta. Le predette spese sono integralmente deducibili se sostenute dal committente per conto del professionista e da questi addebitate nella fattura”.
L'art. 10, D.Lgs. 175/14, ha sostituito la seconda parte con la seguente proposizione “Le prestazioni alberghiere e di somministrazione di alimenti e bevande acquistate direttamente dal committente non costituiscono compensi in natura per il professionista”.
Sotto la vigenza della prima lettura, le spese di vitto e alloggio strettamente connesse ad uno specifico incarico, affinché potessero essere interamente deducibili dal professionista (e dal committente che le rimborsava), dovevano seguire il seguente e complesso trattamento contabile delineato dalla Circolare A.E. 28/E/06:

  • il committente riceveva dall'albergatore/ristoratore il documento fiscale intestata al medesimo committente col riferimento nominale del professionista che aveva usufruito del servizio;
  • il committente comunicava copia di tale documentazione al professionista;
  • il professionista inseriva il relativo importo nella parcella tra le spese imponibili e rilasciava fattura.

Nell'attuale assetto normativo, invece, è sufficiente che il committente paghi direttamente il servizio di albergo e ristorazione per poter dedurre il costo; per converso tale importo non costituisce compenso in natura per il professionista/lavoratore autonomo, non è imponibili e non va inserito in fattura.

Prima risposta al quesito in merito a vitto e alloggio. Alla luce del citato art. 10, D.Lgs. 175/14, è possibile affermare che il contribuente in questione potrà fare a meno di includere nelle fatture e quindi nei compensi le spese per alberghi e ristoranti che vengano pagate direttamente dal committente, anche ai fini della consunzione del plafond dei minimi.
Non sembra necessario che il cliente curi la prenotazione del servizio, purché il pagamento sia a lui immediatamente riferibile.
Ciò significa che il pagamento all'albergo o ristorante debba preferibilmente avvenire tramite bonifico bancario. Questa modalità è piuttosto agevole da seguire per le spese alberghiere; mentre sembra operativamente più complessa nel caso del ristorante.
Ebbene, nell'ipotesi in cui il committente consegnasse previamente al professionista il danaro contante per ovviare alla spesa, vi è il rischio che il danaro, quale bene fungibile, una volta in possesso del professionista si confonda col suo patrimonio; con la conseguenza che il lavoratore autonomo acquisti la proprietà della somma ai sensi dell'art. 1782 c.c. e si incrini la riferibilità del pagamento al committente.
Per quanto possa sembrare curiosa la soluzione qui proposta, sarebbe consigliabile la sottoscrizione di un contratto di deposito col quale il committente consegna al professionista la/e banconota/e indicandone anche il numero di serie, possibilmente con allegata fotocopia del titolo. In tal modo non viene consegnata al professionista il denaro in quanto tale bensì il bene materiale consistente in quella precisa banconota, impedendo la confusione.
In alternativa deve ritenersi ammissibile la consegna al professionista di una carta di credito o di debito intestata al committente, dovendosi però prestare attenzione a che la carta rimanga nelle mani del professionista il tempo strettamente necessario all'espletamento dell'incarico e venga usata solo per il rimborso della spesa, correndosi il rischio altrimenti di ravvisare un compenso in natura.

Spese di trasporto. Sugli oneri relativi ai viaggi dei professionisti si registra l'assenza di una norma specifica. L'Agenzia delle Entrate, nel trattamento del rimborso spese, applica generalmente la distinzione tra:

  • esborsi affrontati dal professionista a nome e per conto del cliente (es. pagamento del contributo unificato per iscrivere una causa a ruolo), che non costituiscono imponibile reddituale;
  • spese affrontate per conto del cliente ma a nome proprio, che invece sono imponibili ai fini delle II.DD. e dell'Iva.

Tale distinzione origina dall'art. 15, D.P.R. 633/72, in cui si dispone che non sono imponibili Iva “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni fatte in nome e per conto della controparte, purché regolarmente documentate”, regola poi tradotta nell'ambito delle imposte sui redditi.
Secondo l'Agenzia delle Entrate i rimborsi vanno generalmente ricondotti alla nozione di compenso. Nella Risoluzione n. 69/E/2003 viene fornita la seguente motivazione: “dalla norma citata [n.d.r. l'art. 50 Tuir, oggi art. 54] discende che i compensi per lavoro autonomo sono computati al netto solamente dei contributi previdenziali e assistenziali conseguentemente nella nozione di compenso devono ricondursi anche i rimborsi di spese inerenti alla produzione del reddito di lavoro autonomo”.
Tale argomentazione a contrario pare essere nulla più che suggestiva. Infatti l'art. 54, co. 1, parte seconda, è una norma agevolatrice che deroga al principio dell'inerenza, secondo cui la spesa per essere deducibili deve essere funzionale alla produzione del reddito; sicché, in mancanza di apposita previsione, i contributi rischiavano di non essere dedotti in quanto non in funzione della creazione del reddito bensì quale conseguenza delle condizioni personali del contribuente professionista o lavoratore autonomo.
Dunque, la deduzione dei contributi trova ragioni peculiari di opportunità e non è in grado di elevarsi a regola generale per cui tutti gli importi incassati dal professionista vanno considerati alla stregua di compenso.
A supporto che il mero rimborso sembra cosa ontologicamente diversa dal compenso stanno due disposizioni:

  • l'art. 2234 c.c. rubricato “spese e acconti” che tiene ben distinto tali voci dal “compenso” disciplinato dall'art. 2233 c.c.;
  • l'art. 9, co. 4, D.L. 1/12, che distingue gli obblighi di informativa sulla “misura del compenso” da quelli sugli “oneri ipotizzabili”.

Inoltre la distinzione tra “spese a nome e per conto” trova suggello soltanto per l'Iva, non per le imposte dirette.
Oltretutto, inserendo il rimborso delle spese di viaggio tra i compensi in natura, arriveremmo all'assurdo per cui dovrebbe essere inserito tra gli imponibili il valore normale del trasporto allorquando il cliente dia un passaggio al professionista con la propria autovettura sino al luogo della prestazione.
D'altro canto, al di là di queste speculazioni, l'orientamento dell'Agenzia delle Entrate è quanto mai chiaro del ricondurre i rimborsi di viaggio tra i compensi - seppure poi da portare in deduzione - e nella Circolare n. 38/E/14, quando si trova ad affrontare il tema del ridetto art. 10, D.Lgs. 175/14 in merito alle spese di vitto e alloggio, specifica che “il regime, ivi stabilito, non troverà applicazione nell'ipotesi in cui tali prestazioni e somministrazioni siano acquistate dal lavoratore autonomo e analiticamente addebitate in fattura al committente, né nell'ipotesi di prestazioni diverse, quali ad esempio le spese di trasporto, ancorché acquistate direttamente dal committente”.
Dunque, è estremamente rischioso discostarsi da tale interpretazione allorquando, ed è questo il caso, si discuta di contribuenti minimi, nella giusta considerazione che il superamento della soglia di Euro 30.000 comporta conseguenze estremamente pregiudizievoli per il contribuente e si riflette anche per gli anni a venire in cui sarebbe rimasto erroneamente nel regime di favore.

Soluzione proposta per le spese di trasporto. (omissis)


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