Commento al decreto 18 aprile 2014 del Tribunale di Ancona: rilievo di ufficio della manifesta eccessività della clausola penale nel procedimento monitorio, profili di illegittimità rispetto all'ordinamento interno e comunitario.
di Andrea Bugamelli
Con decreto di rigetto del 18/04/2014, il Tribunale di Ancona respingeva la richiesta diretta all'emissione di ingiunzione di pagamento di una penale, prevista con apposita clausola inserita in un contratto di transazione.
La motivazione del provvedimento reiettivo è assai interessante poiché applica, in seno al procedimento monitorio, il principio di riduzione ex officio della clausola penale manifestamente eccessiva, espresso in linea generale dalle Sezioni Unite (Sent. n. 18128 del 2005).
Il decreto, facendo espresso richiamo alle parole della testé citata sentenza, osserva che la riduzione d'ufficio della penale è posta “a salvaguardia dell'interesse generale (dell'ordinamento)” e dell' “equilibrio contrattuale”, sì da “evitare che l'autonomia contrattuale travalichi i limiti entro i quali la tutela delle posizioni soggettive delle parti appare meritevole di tutela”.
Su questa premessa il Tribunale di Ancona rigetta il ricorso monitorio, sulla scorta dell'eccessività della penale, poiché “la tutela dell'interesse generale dell'ordinamento, per il quale è previsto un potere officioso del Giudice, non può trovare limitazioni dipendenti dal procedimento giurisdizionale instaurato dal creditore (…) Infatti non è ammissibile l'adozione di un provvedimento giurisdizionale di ingiunzione di pagamento in contrasto con l'interesse generale dell'ordinamento” per concludere che “il Giudice non potrebbe adottare il provvedimento monitorio né per l'importo di cui alla penale né per altro importo; ed infatti in sede monitoria il Giudice non può ridurre la penale in quanto in tale modo il credito perderebbe il carattere della liquidità”.
Il decreto in commento è certamente pregevole per lo sforzo compiuto nel valutare, in un contesto di accertamento sommario, la fondatezza della domanda al di là della semplice verifica sull'esistenza della prova qualificata idonea ad accedere all'ingiunzione.
In effetti, una parte della dottrina ha affermato che la cognizione del giudice nella fase monitoria non è di tipo meramente formale, dovendo attingere al rapporto giuridico dedotto inaudita altera parte dal creditore [1]. Il Tribunale di Ancona ha inteso compiere scrupolosa applicazione di siffatta regola, grazie alla quale la sommarietà, che contraddistingue il rito monitorio, non degrada a superficialità nella decisione resa.
Nondimeno, il decreto de quo alimenta alcuni dubbi in ordine alla corretta applicazione del diritto nazionale e, soprattutto, alla sua compatibilità rispetto all'ordinamento comunitario.
Per quanto concerne la prima questione vertente sul diritto interno, a ben vedere il Tribunale, nel recepire il principio della rilevabilità d'ufficio della manifesta eccessività della clausola penale, finisce col disapplicare l'art. 1384 cod. civ., laddove prescrive la riduzione dell'importo.
In proposito va rammentato che la clausola penale, ancorché eccessiva, è comunque una “clausola valida“ (cfr. Cass. civ., SS.UU., n. 18128 del 2005, cit. supra); ne deriva che la corretta applicazione dell'art. 1384 cod. civ. presuppone la completa attuazione del suo disposto, sia nel senso di rilevare la manifesta eccessività, sia di ricondurla ad equità. In altri termini, mentre l'art. 1384 cod. civ. prevede la riduzione della penale, il Tribunale di Ancona si è limitato a disapplicare la clausola, travalicando i poteri assegnati dalla norma. Attesa la perdurante validità della previsione contrattuale, non sembra del tutto peregrino ravvisare un esercizio, da parte del giudice, di un potere non altrimenti previsto, né dagli articoli 633 e ss. cod. proc. civ., né dall'art. 1384 cod. civ..
Tanto più si consideri che il decreto ingiuntivo è un provvedimento non definitivo e i superiori interessi dell'ordinamento, menzionati dal Tribunale di Ancona, ben potevano trovare sufficiente tutela nel diniego della provvisoria esecuzione.
In terzo luogo, non può essere sottaciuto che il regime della rilevabilità di ufficio non va intesa in senso assoluto, bensì trova un primo limite nell'onere di allegazione delle parti [2], nonché nel principio dispositivo circa la corrispondenza tra il chiesto e il pronunziato [3]. In quest'ottica, la rilevabilità d'ufficio è in funzione del contraddittorio delle parti, con la conseguenza che il Tribunale di Ancona ha rilevato d'ufficio una questione prima ancora che fosse possibile verificare se essa sarebbe stata ricompresa nel futuro (ed eventuale) thema decidendum circoscritto proprio dal contraddittorio processuale.
Il decreto ingiuntivo può essere inteso come una provocatio ad opponendum, ossia come una modalità di apertura del contraddittorio tra le parti; i confini del giudizio – e con esso il campo di rilevabilità di ufficio delle questioni – sono quindi regolati dall'opposizione. In questa prospettiva, il rigetto della domanda monitoria si paleserebbe intempestiva.
Da ultimo, non si comprende perché, come asserito dal Tribunale di Ancona, la rideterminazione della penale secondo equità farebbe perdere il carattere della liquidità del credito, così da non renderlo più attivabile in via di ingiunzione. Al contrario, la riduzione della penale consiste, per definizione, nella liquidazione del giusto importo.
I dubbi sin qui espressi sul decreto in commento, vengono alimentati ponendolo in relazione al diritto comunitario.
L'operatività parziale dell'art. 1384 cod. civ. - limitatamente alla disapplicazione della clausola penale senza dare seguito alla sua riduzione - implica una potenziale discrasia con il Regolamento n. 44 del 2001, il cui art. 34 esclude il riconoscimento delle decisioni emesse da uno Stato membro, che siano contrarie all'ordine pubblico nazionale. Alla stregua della tesi del Tribunale di Ancona, tale potrebbe ritenersi l'ingiunzione emessa da uno Stato membro estero sulla base di una clausola penale manifestamente eccessiva; sicché, laddove si accedesse ad una lettura dell'art. 1384 cod. civ. che consentisse sic et simpliciter di disapplicare la penale, la richiesta di riconoscimento andrebbe respinta in toto senza poter ridurre l'ammontare del credito, poiché l'art. 45 del Regolamento impedisce un riesame sul merito.
Una simile prospettiva andrebbe scongiurata perché lo sbarramento del provvedimento giurisdizionale straniero (comunitario) è contrario alle finalità del citato Regolamento, enucleate nei considerando numeri 1 e 6. [4]
Questo sembra dimostrare che, laddove, per ragioni sostanziali o processuali, non sia possibile ridurre la clausola penale, l'art. 1384 cod. civ. non può consentire unicamente la disapplicazione, pena un potenziale conflitto con l'ordinamento europeo, del quale scardinerebbe, per lo meno in parte, il principio del mutuo riconoscimento dei provvedimenti giurisdizionali emessi dagli Stati membri.
Va altresì aggiunto che il Regolamento comunitario n. 1896 del 2006 ha istituito il procedimento europeo d'ingiunzione di pagamento, che snellisce in modo sensibile la riscossione del credito, in virtù dell'abolizione dell'exequatur, espressamente sancita dall'art. 19. Il creditore, il quale opti per tale procedimento, non deve promuovere apposita istanza all'autorità giudiziaria dello Stato membro ove intende agire esecutivamente, come altrimenti prescritto dagli artt. 39 e ss. del Regolamento n. 44/2001, e, aspetto focale, il debitore non può opporsi al riconoscimento del decreto ingiuntivo europeo, avendo l'onere di impugnarlo avanti al giudice dello Stato membro che lo ha emesso.
Ciò significa che l'ordinamento interno accoglie e riconosce in via automatica e irrudicibile l'ingiunzione europea, seppure essa fosse azionata in base a clausola penale manifestamente eccessiva, proprio nella considerazione che le ragioni del debitore sono sufficientemente tutelate dalla facoltà di prestare opposizione. Per evidenti ragioni di coerenza, deve escludersi l'esistenza di un interesse superiore dell'ordinamento a respingere il provvedimento monitorio, basato su clausola penale parimenti eccessiva, per il sol fatto che esso sia richiesto al giudice nazionale per tramite della procedura monitoria interna, questione sollevabile di ufficio solo nell'eventuale giudizio di opposizione.
Conclusivamente, il decreto reiettivo del Tribunale di Ancona rappresenta una pregevole scrupolosità perché non si è arrestato all'aspetto formale della prova qualificata ma ha espletato una valutazione del rapporto di credito dedotto.
D'altro canto, l'art. 1384 cod. civ., calato entro gli istituti processuali e soprattutto ponderato nel contesto ordinamentale comunitario, lascia preferire l'emissione di un decreto ingiuntivo per un importo ricondotto ad equità oppure, ove la riduzione non sia possibile, la concessione dell'ingiunzione per l'intero importo recato nella clausola penale.
[1] RONCO, Struttura e disciplina del rito monitorio, Torino, 2000, 55. Sempre nel senso della doverosa cognizione da parte del giudicante sui fatti costitutivi del diritto azionato ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, IV, Napoli, 1964, 32; BENDIA, Sull'idoneità al giudicato del decreto ingiuntivo non opposto, in GM, 1989, 2, 484
[2] Cass. civ., sez. lav., 13 novembre 2006 n. 24166, in Giust. civ. Mass. 2006, 11.
[3] Cass. civ., sez. I,13 dicembre 2013 n. 27920, in Giust. civ. Mass. 2013, ivi la Corte si è espressa sul tema della rilevabilità d'ufficio della nullità totale o parziale del contratto, problematica dalla quale prendono le mosse le Sezioni Unite per argomentare la rilevabilità ex officio della penale eccessiva.
[4] I considerando 1 e 6 siano rispettivamente “l'obiettivo di conservare e sviluppare uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, nel quale sia garantita la libera circolazione delle persone. Per realizzare gradualmente tale spazio è opportuno che la Comunità adotti, tra l'altro, le misure nel settore della cooperazione giudiziaria in materia civile” e l' “obiettivo della libera circolazione delle decisioni in materia civile e commerciale”.