Guida professionale al
diritto tributario dell'Unione Europea.

Principi di diritto sostanziale
ed istituti processuali.

L'Avv. Andrea Bugamelli mette a disposizione degli utenti un estratto della sua “Guida professionale al diritto tributario dell'Unione Europea”. La versione integrale è riservata agli iscritti all'Ordine degli Avvocati di Ancona e all'Ordine dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili di Ancona dirigendosi nell'apposita sezione a destra. I non iscritti possono possono ottenere la versione intergrale facendo richiesta motivata all'autore tramite mail.


L'AUTORE

L'Avv. Andrea Bugamelli, esperto e studioso in materia tributaria, svolge libera professione con sedi dell'attività in Ancona e Roma. È pubblicista economico in primarie riviste, nelle quali si occupa di tematiche fiscali, contrattuali e di responsabilità professionale, mettendo a frutto anche l'esperienza acquisita nella revisione legale dei bilanci.


PREFAZIONE

Il presente contributo nasce dall'interesse dell'autore verso il diritto europeo dei tributi, oltre che dall'esigenza personale di dare sistematicità ad una vasta serie di dati e materiali raccolti nel corso del tempo. Lo scritto si colloca sulla scia di un progetto più ambizioso di approfondimento della giurisdizione europea, nell'ottica di offrire la migliore tutela al contribuente tramite i diritti e gli strumenti riconosciuti dall'ordinamento comunitario. La guida si snoda, nella prima parte, attraverso lo studio dei principi e delle libertà fondamentali, nei riflessi che comportano sull'obbligazione di imposta. La seconda parte è invece dedicata agli istituti generali del processo europeo. Il capitolo finale è riservato all'accesso alla Corte di Strasburgo per la tutela dei diritti fondamentali dell'uomo.

Ancona lì, 20 dicembre 2015


PARTE PRIMA - PRINCIPI E DIRITTO SOSTANZIALE

1. L'ORDINAMENTO COMUNITARIO

L'architettura dell'Unione Europea si rivolge precipuamente alla tutela delle quattro libertà comunitarie, dette libertà fondamentali:

  • libera circolazione delle merci;
  • libera circolazione delle persone;
  • libera circolazione dei servizi;
  • libera circolazione dei capitali.

Le libertà costituiscono il presupposto basilare affinché possa essere raggiunta o comunque preservata quella finalità storica che ha ispirato la costituzione della Comunità economica europea (oggi Unione europea), ossia la liberalizzazione del mercato e la concorrenza tra imprese.

In questo contesto il prelievo fiscale effettuato dagli Stati membri può comportare distorsioni del mercato unico.
Da un lato può incidere sulla formazione dei prezzi e sulla competizione tra professionisti e imprese stabiliti in Stati diversi; dall'altro può ostacolare o favorire l'esercizio di attività economiche da parte di soggetti non residenti.

Dunque il coordinamento delle politiche fiscali degli Stati membri dell'Unione Europea diventa fondamentale per scongiurare alterazioni al mercato unico, non ammesse nei Trattati, ed altresì per evitare che la competizione a livello di normativa nazionale tributaria possa condurre al fenomeno dell'erosione della base imponibile a danno di altri Stati, dando luogo a squilibri finanziari ed economici.

A livello internazionale è assente un'autorità superiore che vincoli in modo diretto gli Stati nel delineare e perseguire le politiche fiscali; semmai i limiti originano da accordi internazionali, quali trattati, patti bilaterali o multilaterali, eccetera, all'insegna del mutuo consenso.

Invero le carte costituzionali dei Paesi più avanzati determinano sull'ordinamento interno degli effetti riflessi dal diritto internazionale. Basti pensare al principio di eguaglianza, che impone ex se un trattamento dello straniero non irragionevolmente deteriore rispetto a quello riservato al cittadino; oppure al principio di capacità contributiva, che tempera il principio del World wide taxation presupponendo un collegamento con lo Stato impositore.

Col Trattato CEE si è positivizzata la tutela della concorrenza e delle quattro libertà fondamentali nel mercato unico, rispetto alle quali gli Stati membri hanno rinunziato all'esercizio della propria sovranità, rimessa alle istituzioni comunitarie.

Successivamente il Trattato di Maastricht ha effettuato il salto di qualità avviando un processo di unione politica e monetaria, quest'ultimo compiutamente realizzato con l'introduzione della moneta unica.

Al contempo la denominazione di “Comunità economica europea” è stata innovata in “Comunità europea”, così rappresentando l'intento unificatore di stampo non solamente economico.

Sempre il Trattato di Maastricht ha ripartito le politiche dell'Unione Europea in quelli usualmente chiamati tre pilastri:

  1. mercato comune europeo e con esso l'unione economica e monetaria, la politica del carbone e dell'acciaio e quella atomica, compendiate nelle Comunità europee;
  2. politica estera e di sicurezza comune (c.d. Pesc);
  3. cooperazione di polizia giudiziaria in materia penale, come strutturata a seguito delle modifiche intercorse col Trattato di Amsterdam.

Alla Comunità europea è stato affidato espressamente il compito di promuovere ed assicurare:

  1. lo sviluppo equilibrato delle attività economiche nel rispetto dell'ambiente (criterio della crescita sostenibile);
  2. la convergenza dei risultati economici;
  3. il perseguimento di un'elevata occupazione e un adeguato grado di protezione sociale;
  4. il miglioramento della qualità di vita e la coesione sociale a vantaggio delle regioni meno favorite;
  5. la solidarietà tra gli Stati membri anche attraverso meccanismi di contribuzione finanziaria a favore delle regioni meno sviluppate.

La Comunità europea - oggi denominata Unione europea a seguito del Trattato di Lisbona - si è dimostrata particolarmente attenta nel contrasto alla concorrenza fiscale dannosa, che consiste nella riduzione della pressione fiscale su certe fonti reddituali in alcuni Stati membri a scapito di altre fonti reddituali e in pregiudizio per altri Stati che si vedono sottratta materia imponibile.

La lotta contro tale fenomeno è stata avviata con il c.d. pacchetto Monti, che racchiudeva un progetto di Codice di condotta, approvato dalla Commissione il 1/10/1997, poi recepito nella risoluzione 1/12/1997 del Consiglio Ecofin e infine consacrato nella decisione del Consiglio Ecofin del 7/3/2003.


[PAGINA 10 NON DISPONIBILE]

2. LE FONTI DEL DIRITTO COMUNITARIO

E' possibile rappresentare le fonti in tre gruppi:

  • i Trattati istitutivi e le loro successive modificazioni, definiti anche il diritto primario;
  • le fonti derivate, che trovano la loro rilevanza giuridica nei trattati e sono:
    • i regolamenti;
    • le direttive;
    • le decisioni;
    • le risoluzioni;
    • i pareri;
    • le raccomandazioni;
    • gli atti atipici (comunicazioni, libri bianchi e libri verdi);
    • gli accordi internazionali tra UE e paesi od organizzazioni terze;
    • gli accordi tra Stati membri;
    • gli accordi tra istituzioni dell'UE.
  • il diritto complementare, che racchiude:
    • la giurisprudenza della Corte di giustizia dell’Unione europea;
    • il diritto internazionale;
    • i principi generali del diritto, ai quali talora si rifà la Corte di giustizia nel rendere le sue decisioni.

Per la sua importanza in ambito fiscale si segnala nuovamente la Risoluzione del Consiglio Ecofin dell'1/9/1997 (c.d. pacchetto Monti) che reca il progetto di Codice di condotta col quale si è avviato un processo di armonizzazione dell'imposizione diretta.

Il diritto primario

Comprende essenzialmente i Trattati istitutivi e quelli successivamente intercorsi che hanno ristrutturato le Istituzioni europee. Ad oggi, tra le fonti primarie si annoverano:

  • il Trattato sull'Unione Europea (c.d. TUE, approvato col trattato di Maastricht nel 1992 ed aggiornato dal trattato di Lisbona del 2007);
  • il Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea (c.d. TFUE, approvato col Trattato di Lisbona del 2007 che ha innovato e sostituito il precedente Trattato di Roma che istituì la Comunità economica europea);
  • la Carta dei Diritti fondamentali dell'Unione Europea (anche detta Carta di Nizza);
  • i protocolli allegati ai trattati istitutivi e ai trattati modificativi;
  • i trattati di adesione degli Stati membri dell'UE.

I due trattati TUE e TFUE:

  • ripartiscono le competenze tra Unione Europea e Stati membri;
  • legittimano il potere delle istituzioni europee;
  • definiscono il quadro giuridico entro il quale le istituzioni europee attuano le politiche comunitarie.

I trattati sono vincolanti per gli Stati membri e talora dettano regole applicabili nei rapporti tra privati e Stati membri.

I trattati, in particolar modo il TUE e il TFUE, sono fonte di situazioni giuridiche soggettive in capo ai singoli, i quali divengono titolari di diritti a tutela immediata (CGE sent. 15/7/1964 causa C-6/64 Costa; sent. 05/02/1963 causa C-26/62 Van Gend en Loos; sent. 01/07/1969 cause riunite C-2/69 e C-3/69 Sociaal Fonds voor de Diamantarbeiders), salvo si tratti di disposizioni programmatiche. Dunque, pur con i dovuti distinguo in base ai contenuti delle norme coinvolte, i trattati possono dettare regole e precetti vincolanti per gli Stati membri nei rapporti con i privati ed altresì riconoscere diritti in capo ai singoli.

Sulla diretta applicabilità delle norme comunitarie ai destinatari senza l' intermediazione degli organi statuali si veda CGE sent. 05/02/1963 causa C-26/62 Van Gend en Loos.

L'Unione Europea doveva dotarsi di una propria Costituzione, il cui progetto si è però interrotto nel 2005 a seguito del diniego opposto dalle popolazioni di Francia e Paesi Bassi nei referendum.
Di qui l'origine del Trattato di Lisbona, che ha riproposto alcuni contenuti della Costituzione europea quali l'unicità dell'Unione Europea, l'ampliamento delle competenze dell'UE, la ridescrizione del sistema delle fonti normative, i diritti fondamentali dell'uomo elaborati nella Carta dei diritti fondamentali.

Le principali previsioni di rilevanza fiscale nel diritto primario:

Sull'armonizzazione fiscale:

L'art. 113 TFUE programma l'armonizzazione delle legislazioni relative all'imposta sulla cifra d'affari, alle imposte di consumo e alle altre imposte indirette, nella misura in cui ciò sia necessario ad assicurare l'instaurazione ed il funzionamento del mercato interno in regime di libera concorrenza.
Il processo di armonizzazione vede il ruolo promotore del Consiglio, chiamato ad adottare all'unanimità le relative disposizioni, previa consultazione (non vincolante) del Parlamento europeo.
Ai sensi dell'art. 115 TFUE il riavvicinamento tra le legislazioni degli Stati membri coinvolge sia la legislazione in senso stretto, sia le disposizioni regolamentari e amministrative.

Sulle finanze pubbliche:

L'art. 119 TFUE prescrive che l'adozione della politica economica a livello europeo sia fondata sullo stretto coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri, sulla definizione di obiettivi comuni, su un'economia di mercato aperta e in libera concorrenza, su un'unica moneta ed un'unica politica monetaria. Tutto questo, afferma l'art. 119, implica il rispetto di “prezzi stabili, finanze pubbliche e condizioni monetarie sane nonché bilancia dei pagamenti sostenibile”.

Sempre sul tema delle finanze pubbliche dei singoli Stati, l'art. 121 TFUE richiama l'attenzione sull'essere un fattore di interesse comune a tutta l'Unione europea e l'art. 126 TFUE vieta disavanzi pubblici eccessivi.

Sul principio di non discriminazione fiscale:

Trova espressione in diverse norme dei trattati:

  • art. 110 TFUE: vieta agli Stati membri di riservare alle merci degli altri Stati membri un trattamento fiscale deteriore rispetto ai prodotti nazionali. A tale scopo inibisce di applicare, direttamente o indirettamente, ai prodotti degli altri Stati membri, imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari oppure intese a proteggere indirettamente altre produzioni.
  • art. 111 TFUE: vieta il ricorso alla fiscalità interna per favorire la vendita intra-UE dei prodotti nazionali rispetto a quelli degli altri paesi; quindi la norma stabilisce che &ldq“i prodotti esportati nel territorio di uno degli Stati membri non possono beneficiare di alcun ristorno di imposizioni interne che sia superiore alle imposizioni ad essi applicate direttamente o indirettamente”.
  • art. 112 TFUE: per le imposizioni diverse da quelle indirette “si possono operare esoneri e rimborsi all'esportazione negli altri Stati membri e introdurre tasse di compensazione applicabili alle importazioni provenienti dagli Stati membri, soltanto qualora le misure progettate siano state preventivamente approvate per un periodo limitato dal Consiglio, su proposta della Commissione”.

Dalla lettura delle tre norme si evince che, ove il Paese membro non abbia produzioni concorrenziali (uguali, simili o anche sostitutive), non è soggetto a limiti di politica fiscale, non potendosi di fatto determinare un trattamento discriminatorio tra soggetti non residenti e residenti.

La normativa fiscale non dovrà neppure atteggiarsi - magari per il livello impositivo insostenibile - ad un blocco di fatto alla circolazione delle merci.

In virtù dell'art. 65 TFUE, il principio di non discriminazione subisce un temperamento attribuendo agli Stati membri la facoltà:

  • di applicare disposizioni tributarie nazionali in cui si opera una distinzione tra i contribuenti che non si trovano nella medesima situazione per quanto riguarda il loro luogo di residenza o il luogo di collocamento del loro capitale;
  • di prendere tutte le misure necessarie ad impedire violazioni della legislazione e delle regolamentazioni nazionali, in particolare nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o di stabilire procedure per la dichiarazione dei movimenti di capitali a scopo di informazione amministrativa o statistica, o di adottare misure giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza.

L'art. 65, comma 3, TFUE, precisa che tali misure derogatorie non possono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali.

Sull'apertura delle frontiere:

L'art. 3, lett. a), TUE ha vietato l'istituzione di dazi doganali o tasse ad effetto equivalente per le merci che circolano, in entrata e in uscita, tra gli Stati membri. L'eliminazione delle dogane interne alla Comunità europea costituisce applicazione della libertà di circolazione delle merci.

Per le merci provenienti da Stati non appartenenti alla Comunità europea è prevista un tariffa doganale unica.

Sugli aiuti di Stato:

L'art. 107 TFUE ne sancisce in via generale il divieto - ma con diverse eccezioni - allorquando l'utilizzo di risorse statali, sotto qualsiasi forma, favorisca talune imprese o produzioni ed incida sugli scambi tra Stati membri, falsando o minacciando la concorrenza. Quindi l'aiuto di Stato che non rechi tale conseguenze è legittimo.

La norma non fa riferimento alle imprese o produzioni nazionali; quindi il divieto sussiste anche per eventuali aiuti introdotti per favorire insediamenti esteri provenienti da determinati Stati. Una simile ipotesi potrebbe innestarsi in un rapporto di reciprocità tra due Stati membri, col quale l'aiuto di uno Stato favorisce le imprese dell'altro Stato e viceversa, in modo da aggirare il divieto.

Anche i tributi possono assumere i contorni dell'aiuto di Stato vietato, facendo riferimento l'art. 107 TFUE a “qualsiasi forma” di intervento; d'altro canto il fenomeno della traslazione di imposta insegna che i tributi si riflettono sui costi e sul prezzo.

Sui monopoli pubblici:

L'art. 37 TFUE non dispone l'immediata abrogazione dei monopoli di Stato ma pone i presupposti per la loro graduale eliminazione.

Diritto derivato, regolamenti e direttive:

I regolamenti sono immediatamente e direttamente applicabili nel diritto interno.

La Corte di Giustizia ha criticato la mera riproduzione dei contenuti dei regolamenti negli atti legislativi dei singoli Stati in quanto, oltre che inutile, è potenzialmente foriera di confusione, equivocità e disallineamento tra le varie legislazioni nazionali. La Corte ha per l'appunto accertato la violazione del diritto comunitario da parte della Repubblica Italiana che si era limitata a riprodurre le disposizioni dei regolamenti comunitari senza uniformare la propria legislazione (CGE sent. 07/02/1973 causa C- 39/72 Commissione/Italia).

Le prescrizioni contenute nei regolamenti sono efficaci a partire dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione della Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea oppure dalla diversa data indicata nel regolamento stesso.

Tra i regolamenti più rilevanti in area fiscale si segnalano:

  • in materia doganale:
    • istituzione tariffa doganale comune (Reg. 950/68) e sua revisione (Reg. 2658/87);
    • codice doganale comunitario (Reg. 2913/93) e sua attuazione (Reg. 2454/93);
    • nuovo codice doganale (Reg. 952/13)
    • definizione origine delle merci (Reg. 802/68);
    • franchigia doganale (Reg. 1544/69);
    • regime delle spedizioni (Reg. 222/77);
    • rimborsi e ripetizione dei dazi (Reg. 1430/79 e 1697/79);
    • documento tariffario unico (Reg. 678/85 e 679/85) e sua revisione (Reg. 717/91);
    • informazione tariffaria (Reg. 1715/90);
    • mutua assistenza tra le autorità amministrative (Reg. 115/97).
  • in altri settori fiscali:
    • sistema Intrastat (Reg. 2137/85);
    • scambio di informazioni (Reg. 218/92) e sua attuazione (Reg. 3046/92).

Le direttive sono la fonte più utilizzata in ambito tributario e sono emanate dal Consiglio. Hanno natura programmatica e definiscono gli obiettivi da raggiungere entro un determinato termine, lasciando agli Stati la concreta individuazione degli strumenti applicativi. Fanno eccezione le direttive c.d. self executing.

L'efficacia della direttiva parte dal ventesimo giorno successivo alla pubblicazione della Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea oppure dalla diversa data indicata nella direttiva stessa.

L'emanazione della direttiva implica un comportamento dello Stato secondo buona fede; ciò significa il dovere di promulgare la normativa interna intimamente rispondente agli obiettivi assegnati e il divieto di emanare disposizioni in contrasto con essi.

Tra le principali direttive di segnalano:

  1. in materia Iva, la c.d. “sesta direttiva” n. 388/77, poi sostituita dalla Direttiva n. 2006/112/CE. L'attuazione nel diritto italiano corrisponde al D.P.R. 633/72 e successive modifiche.
  2. settore accise:
    • Direttiva n. 92/12/CEE, che ha fissato le regole generali, poi modificata dalla Direttiva n. 2008/118/CEE;
    • Direttive n. 92/79/CEE e 92/80/CEE, che hanno promosso la norme specifiche per i tabacchi, poi modificate dalle Direttive n. 95/59/CEE e 2010/12/UE;
    • Direttive n. 92/81/CEE e 92/82/CEE e 92/510/CEE per gli olii minerali;
    • Direttive n. 92/83/CEE e 92/84/CEE per alcol e bevande alcoliche;
    • Direttiva n. 2003/96/CEE per elettricità e prodotti energetici.

    La loro attuazione nel diritto italiano è avvenuta con il D.Lgs. 504/95 e successive modifiche.

  3. imposizione indiretta sugli affari: la Direttiva n. 335/69 (poi modificata dalle Direttive n. 79/73 e 80/73, 553/74, 303/85 e 2008/7/CE) ha disciplinato la tassazione della raccolta di capitali, in particolare imposta di bollo su emissione, negoziazione e circolazione di titoli rappresentativi di partecipazione e titoli di credito e l'imposta sul conferimento di a) capitali in società. L'attuazione nell'ordinamento italiano la si ritrova nel D.P.R. n. 131 del 1986.
  4. imposte dirette, per le quali si segnalano:
    • l'art. 115 TFUE, ai sensi del quale il Consiglio può deliberare all'unanimità e stabilire direttive per il ravvicinamento delle legislazioni nazionali;
    • la Direttiva n. 85/611/CEE (sulla tassazione dei capitali e degli organismi di investimento collettivo) recepita da ultimo con i D.Lgs. n. 83 e 84 del 1992;
    • la Direttiva n. 90/434/CEE (sulle fusioni, scissioni, conferimento e scambi azionari a carattere intracomunitario) recepita da ultimo con il D.lgs. 543/92;
    • la Direttiva n. 90/435/CEE (c.d. direttiva “madre-figlia” per la tassazione delle società partecipate a livello comunitario) recepita da ultimo con il D.Lgs. 136/93;
    • la Direttiva n. 2003/48/CE (sui redditi di capitale erogati a favore di cittadini UE non residenti) recepita dal D.Lgs. 84/05;
    • la Direttiva n. 2009/49/CE modificata dalla Direttiva n. 2004/76/CE (su interessi, royalties e canoni tra società consociate) recepita con D.Lgs. 143/05.
  5. materia procedurale:
    • Direttive n. 1976/308/CEE, 1979/1071/CEE e 2001/44/CE (riscossione dei crediti tributari vantati da uno Stato membro sui beni di privati posti in un altro Stato);
    • Direttive n. 1977/799/CEE, 1979/1070/CEE, 1992/12/CEE e 2011/16/EU (sullo scambio di informazioni tra Stati).

Le direttive self-executing hanno efficacia diretta solo verticale e possono essere fatte valere unicamente dai privati contro lo Stato inadempiente, quest'ultimo da intendersi come pubbliche amministrazioni, organi, enti pubblici ed enti territoriali ovvero soggetti privati che esercitino funzioni pubbliche o servizi di pubblico interesse (CGE sent. 12/07/1990 causa C-188/89 Foster).

Al contrario non è ammessa l'efficacia orizzontale delle direttive self executing nei rapporti tra soggetti privati; nondimeno, gli effetti pregiudizievoli che incontra il privato nell'impossibilità di far valere un proprio diritto contro terzi a causa della mancata attuazione della norma comunitaria, potrà tradursi nella richiesta risarcitoria contro lo Stato membro inadempiente (CGE sent. 14/07/1994 causa C-91/92 Faccini Dori).

Fonti derivate, la giurisprudenza comunitaria:

Le decisioni rassegnate dalla Corte di giustizia dell'Unione europea forniscono un importante contributo nel delineare l'assetto dell'ordinamento comunitario, assicurando l'uniforme interpretazione ed applicazione delle norme europee.
A tale scopo la Corte è competente a pronunciarsi, in via pregiudiziale, sull'interpretazione dei trattati nonché sulla validità e l'interpretazione degli atti compiuti dalle istituzioni, dagli organi o dagli organismi dell'Unione (art. 267 TFUE).
Per i tributi che non godono di una disciplina comunitaria specifica, in pratica, quando si versa fuori dall'ambito dei tributi indiretti (Iva, accise e dazi), le pronunzie della Corte finiscono col divenire fonte di diritto positivo, pur con i limiti connaturati alla sua funzione giurisdizionale.

Anticipando quanto si dirà più avanti, assumono notevole importanza le sentenze pregiudiziali della Corte con le quali l'organo giurisdizionale europeo viene chiamato dal giudice nazionale a vagliare il significato da attribuire alla norma comunitaria, interpretazione alla quale poi il medesimo giudice nazionale sarà tenuto ad adeguarsi nell'emettere la decisione sulla fattispecie concreta.
Il giudice nazionale ha facoltà di sollevare il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia quando sussiste un dubbio interpretativo sulla norma comunitaria o una sospetta violazione del diritto europeo da parte dell'ordinamento interno. Tale facoltà diviene obbligo per i giudici di ultima istanza.
Il contenuto della sentenza emessa dalla Corte è vincolante nel procedimento ove si è innestato il rinvio pregiudiziale, in tutti i gradi, quindi anche nell'eventuale impugnazione o nel giudizio di riassunzione in caso di cassazione con rinvio della sentenza di appello.
La sentenza è vincolante fuori dal giudizio remittente per i giudici di tutti gli Stati membri che si trovino a giudicare una medesima questione già affrontata dalla Corte.
Le sentenze della Corte sono efficaci ex tunc. La retroattività è però temperata dai principi di certezza del diritto e tutela dell'affidamento, in virtù dei quali la Corte può far salvi i diritti acquisiti dai terzi in buona fede i quali, prima della sentenza, abbiano fatto affidamento sulla legittimità della normativa nazionale.

3. I PRINCIPI GENERALI.

I principi dell'ordinamento comunitario possono dividersi in due macrocategorie.

Da un lato si trovano quei principi positivizzati nei trattati, che possono essere definiti ordinamentali, tra i quali si richiamano il principio di sussidiarietà, di proporzionalità ( art. 5 TUE e Protocollo n. 2 al Trattato di Lisbona) e di leale collaborazione tra gli Stati membri (art. 4 TUE).

Vi sono poi quei principi immanenti all'ordinamento comunitario, che sono comuni alle Carte costituzionali degli Stati membri e che sono definibili come principi generali o fondamentali, rivolti alla tutela delle posizioni giuridiche soggettive individuali di cittadini e persone giuridiche. Tra essi ritroviamo i principi di certezza giuridica, la tutela dell'affidamento e della buona fede.

I principi generali, unitamente ai Trattati, si pongono come un limite alle fonti secondarie comunitarie, in primis regolamenti e direttive; svolgono poi una funzione orientativa per l'interprete, sia esso la Corte di Giustizia o il giudice nazionale. Tuttavia, i principi generali stentano a trovare immediato effetto giuridico, soprattutto negli ordinamenti interni, necessitando di una disciplina applicativa o comunque di un espresso richiamo al diritto comunitario.

A latere dei trattati troviamo la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea che tratteggia i valori comuni, quindi i diritti, le libertà e i principi ai quali si rifà l'Unione Europea. La Carta, licenziata il 7/12/2000, è stata teoricamente innalzata allo stesso grado di importanza e vincolatività dei trattati istitutivi laddove l'art. 6 TUE stabilisce che L'Unione riconosce i diritti, le libertà e i principi ivi sanciti.

Per quanto concerne la materia tributaria, le disposizioni della Carta maggiormente interessanti sono:
  • l'art. 7 ≪Rispetto della vita privata e della vita familiare≫;
  • l'art. 8 ≪Protezione dei dati di carattere personale≫;
  • l'art. 15 ≪Libertà professionale e diritto di lavorare≫;
  • l'art. 16 ≪Libertà di impresa≫;
  • l'art. 17 ≪Diritto di proprietà≫;
  • l'art. 21 ≪Non discriminazione≫;
  • l'art. 41 ≪Diritto ad una buona amministrazione≫;
  • l'art. 42 ≪Diritto di accesso ai documenti ≫;
  • l'art. 47 ≪Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale ≫;
  • l'art. 49 ≪Principi della legalità e della proporzionalità dei reati e delle pene≫;
  • l'art. 50 ≪Diritto di non essere giudicato o punito due volte per lo stesso reato≫;
  • l'art. 54 ≪Divieto dell'abuso del diritto≫.

Deve tenersi a mente che, ai sensi dell'art. 51 la Carta non introduce competenze nuove o compiti nuovi in capo all'Unione europea, né modifica le competenze e i compiti definiti dai trattati.
Rimettendoci all'attuale quadro giurisprudenziale, la predetta disposizione implica che gli effetti giuridici della Carta non si riverberano su ogni situazione giuridica soggettiva, tanto meno hanno efficacia generalizzata sugli ordinamenti nazionali. E ciò vale non solamente per le prescrizioni racchiuse nella Carta ma anche per i principi generali europei.

La Corte di giustizia si è pronunziata sull'art. 51 osservando che “Da una costante giurisprudenza della Corte risulta infatti sostanzialmente che i diritti fondamentali garantiti nell'ordinamento giuridico dell'Unione si applicano in tutte le situazioni disciplinate dal diritto dell'Unione, ma non al di fuori di esse.
A tal proposito la Corte ha già ricordato che essa, per quanto riguarda la Carta, non può valutare una normativa nazionale che non si colloca nell'ambito del diritto dell'Unione. Per contro, una volta +che una siffatta normativa rientra nell'ambito di applicazione di tale diritto, la Corte, adita in via pregiudiziale, deve fornire tutti gli elementi di interpretazione necessari per la valutazione, da parte del giudice nazionale, della conformità di tale normativa con i diritti fondamentali di cui essa garantisce il rispetto (...)
Di conseguenza, dato che i diritti fondamentali garantiti dalla Carta devono essere rispettati, quando una normativa nazionale rientra nell'ambito di applicazione del diritto dell'Unione, non possono quindi esistere casi rientranti nel diritto dell'Unione senza che tali diritti fondamentali trovino applicazione. L'applicabilità del diritto dell'Unione implica quella dei diritti fondamentali garantiti dalla Carta.
Ove, per contro, una situazione giuridica non rientri nella sfera d'applicazione del diritto dell'Unione, la Corte non è competente al riguardo e le disposizioni della Carta eventualmente richiamate non possono giustificare, di per sé, tale competenza (...)
Tali considerazioni corrispondono a quelle sottese all'articolo 6, paragrafo 1, TUE, ai sensi del quale le disposizioni della Carta non estendono in alcun modo le competenze dell'Unione come definite nei trattati (...). Allo stesso modo, ai sensi dell'articolo 51, paragrafo 2, della Carta, essa non estende l'ambito di applicazione del diritto dell'Unione al di là delle competenze dell'Unione, né introduce competenze nuove o compiti nuovi per l'Unione, né modifica le competenze e i compiti definiti nei trattati” (cfr. CGE sent. 26/02/2013 causa C-617/10 Aklagaren).

Oltre alla Carta, l'art. 6 TUE riconosce altresì i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali (CEDU) e risultanti dalle tradizioni costituzionali comuni agli Stati membri. Tali diritti vanno espressamente a far parte del diritto dell'Unione in quanto principi generali.

Tuttavia la rilevanza concreta della CEDU viene menomata dalla lettura restrittiva dell'art. 6 TUE secondo la quale il ridetto articolo non avrebbe incluso nel diritto europeo la Convenzione, bensì costituisce il presupposto di diritto in virtù del quale l'Unione europea potrà in futuro aderirvi, così superando la posizione espressa dalla Corte di Giustizia che aveva rilevato l'incompetenza della Comunità europea ad aderirvi (CGE parere 2/94 del 28/03/1996).

Dunque, affinché la CEDU possa avere compiuta espressione, si dovrà attendere uno specifico accordo di adesione ai sensi del Protocollo n. 8 al Trattato di Lisbona, dal quale discenderà l'operatività e cogenza immediata delle previsioni della CEDU, che si eleveranno a pieno titolo a principi generali di cui dovrà tenere conto la Corte di giustizia dell'Unione europea nell'applicazione del diritto europeo.

Sulle problematiche attinenti al rapporto tra la CEDU e l'ordinamento europeo e sulle difficoltà che si frappongono all'adesione dell'Unione europea alla Convenzione si veda il parere n. 2/13 del 18/12/2014 reso dalla Corte di giustizia in Seduta plenaria.

In modo conforme a quanto testé rilevato, l'orientamento maggioritario della giurisprudenza italiana ha inteso limitare la concreta rilevanza di tali diritti fondamentali della Convenzione e ne ha disconosciuto l'applicabilità diretta, nel convincimento che l'art. 6 TUE abbia valore programmatico e di indirizzo. Dunque, l'eventuale norma interna in contrasto con la CEDU non può essere disapplicata dal giudice nazionale, dovendo invece essere sollevata la questione di illegittimità costituzionale in relazione all'art. 117, comma 1, Cost. (Corte Cost. sent. 24/10/2007 n. 348 e sent. 24/10/2007 n. 349).

In ordine alla rilevanza fiscale dei principi della Convenzione si rimanda allo specifico capitolo (infra §.6).

Sempre per quanto concerne i principi di base dell'ordinamento comunitario, quelli che attingono la materia tributaria sono i principi di sussidiarietà, effettività, proporzionalità e leale collaborazione tra Stati; tra i principi generali troviamo la certezza giuridica, la tutela dell'affidamento e della buona fede, il giusto procedimento e il giusto processo, il divieto dell'abuso del diritto.

Principi di attribuzione e sussidiarietà:

L'art. 5 TUE sancisce che la delimitazione delle competenze dell'Unione si fonda sul principio di attribuzione, in virtù del quale l'Unione agisce esclusivamente nei limiti delle competenze che le sono attribuite nei trattati per realizzare gli obiettivi ivi stabiliti e qualsiasi competenza non attribuita all'Unione appartiene agli Stati membri.

L'art. 5 TUE richiama il principio di sussidiarietà, in forza del quale, nei settori che non sono di sua competenza esclusiva, l'Unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in misura sufficiente dagli Stati membri, né a livello centrale né a livello regionale e locale.

Principi di effettività e di equivalenza:

Gli Stati membri sono chiamati ad applicare ed attuare le disposizioni comunitarie oltre che a svolgere le attività prodromiche all'affermazione dell'ordinamento comunitario.

A corollario, i cittadini europei devono essere ammessi dai loro Stati ad avvalersi di strumenti idonei a garantire la tutela dei diritti di fonte comunitaria; siffatti strumenti debbono essere almeno equivalenti a quelli previsti dallo Stato membro per la tutela dei diritti di fonte interna.

La Corte, ripercorrendo i suoi precedenti, evidenzia che “spetta all'ordinamento giuridico interno di ciascuno Stato membro designare i giudici competenti e stabilire le modalità procedurali dei ricorsi giurisdizionali intesi a garantire la tutela dei diritti spettanti ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto. Tuttavia, dette modalità non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano ricorsi analoghi di natura interna, né rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile l'esercizio dei diritti conferiti dall'ordinamento giuridico comunitario” (cfr. CGE sent. 14/12/1995 cause riunite C-430/93 e C-431/93 Jeroen Van Schijndel).

Ne discende altresì l'operatività del principio di buona amministrazione che si esplica nei sottostanti principi di buona fede, imparzialità, efficienza, adeguatezza, motivazione, proporzionalità, contraddittorio, trasparenza e responsabilità della pubblica amministrazione.

La piena esplicazione del principio di effettività presuppone il giusto processo e il giusto procedimento, in virtù del quale le regole dell'ordinamento interno non debbono seguire percorsi di tali complessità da comportare, in sostanza, la limitazione irragionevole del riconoscimento del diritto.

Principi di effettività ed equivalenza nel rimborso tributario:

Con riguardo all'indebito tributario, la giurisprudenza europea afferma in modo granitico che l'azione di rimborso non può subire preclusioni procedimentali e processuali interne che inibiscano o dissuadano il suo esercizio (es. per quanto concerne termini di prescrizione e decadenza, modalità e condizioni dell'azione).
La legittimità delle modalità necessarie ad esercitare il rimborso va soppesata in base ai canoni di ragionevolezza e proporzionalità.

La Corte ha statuito che “la previsione di un termine di decadenza di due anni entro il quale il soggetto passivo può reclamare il rimborso dell'IVA versata a torto nei confronti dell'amministrazione finanziaria, mentre il termine di prescrizione per le azioni di ripetizione dell'indebito oggettivo tra privati è decennale, non è di per sé contraria al principio di effettività. Risulta pertanto dalle considerazioni che precedono che il principio di effettività non osta ad una normativa nazionale in


[PAGINE 23-27 NON DISPONIBILI]

tutela del contribuente si aggiunge l'interesse erariale dello Stato membro a conservare le entrate fiscali già incamerate.

La certezza e l'affidamento debbono essere rispettate anche nel riflesso che la normativa ha sulla prassi amministrativa, che deve consentire ai terzi di adeguare i loro comportamenti (CGE sent. 21/6/1988 causa C-257/86 Commissione/Italia).

Il legittimo affidamento può essere opposto dall'impresa beneficiaria di un aiuto di Stato illegittimo, ma questo deve essere concesso nel rispetto della procedura prevista dai trattati e quindi, nell'ipotesi di mancata previa notifica dell'aiuto alla Commissione, si tratta di un aiuto illegale rispetto al quale nessun affidamento può essere riposto dal privato (CGE sent. 08/12/2011 causa C-81/10 France Telecom; sent. 11/11/2004 cause riunite C-183/02 e C-187/02 Daewoo Electronics Manufacturing España).

Buona fede e giusto procedimento:

La pubblica amministrazione nazionale ed europea deve comportarsi secondo correttezza e buona fede, come sancito dall'art. 41 Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sul ≪Diritto ad una buona amministrazione≫.

Ciò significa che la p.a. debba attenersi alle seguenti regole compendiate nel principio del giusto procedimento:

  • trasparenza;
  • imparzialità;
  • uniformità delle condotte (quindi non contraddittorietà);
  • durata ragionevole del procedimento;
  • rispetto del contraddittorio;
  • rispetto delle regole comunitarie;
  • attenuazione dell'onere probatorio in capo al privato in ragione dell'asimmetria informativa di cui gode la p.a.;
  • accesso agli atti;
  • proporzionalità;
  • collaborazione tra Stati.

Tali principi valgono anche nei rapporti tra pubblica amministrazione e contribuenti, pur diversamente calibrati sulle esigenze erariali (CGE sent. 18/12/2008 causa C-349/07 Sotropé).

Il procedimento amministrativo deve altresì garantire i principi di equivalenza ed effettività, di talché la tutela delle posizioni giuridiche soggettive derivanti dal diritto comunitario deve essere almeno equivalente - quindi non più gravosa - della tutela dei diritti sorgenti


[PAGINA 29 NON DISPONIBILE]

rifiutato nell'ambito del procedimento amministrativo” (cfr. CGE sent. 02/10/2003 causa C-194/99 Thyssen Stahl ).

Sulla questione del contraddittorio amministrativo si è recentemente pronunciata la Corte di Cassazione a Sezioni Unite (sent. 08/12/2015 n. 24823) che, in estrema sintesi, distingue tra tributi armonizzati - quelli cioè che godono di una copertura legislativa europea - per i quali va garantito il contraddittorio amministrativo, e tributi non armonizzati - la cui disciplina si rinviene solamente nell'ordinamento interno - per i quali il contribuente non gode di tale garanzia generalizzata salvo previsione espressa.

Pertanto, nella citata sentenza, le Sezioni Unite hanno licenziato il seguente principio di diritto: “in tema di tributi “non armonizzati” l'obbligo dell'Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l'invalidità dell'atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito; mentre in tema di tributi armonizzati, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell'Unione, la violazione dell'obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell'Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l'invalidità dell'atto purché, in giudizio, il contribuente assolva l'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato”.

Abuso del diritto:

Sul principio del divieto di abusare del diritto si è formata un'ampia giurisprudenza comunitaria (le più note, in materia fiscale, sono CGE sent. 21/2/2006 causa C-255/02 Halifax e sent. 12/9/2006 causa C-196/04 Cadbury Scheweppes. In generale si ricordano pure CGE sent. 11/10/1977 causa C-125/76 Ditta Peter Cremer; sent. 3/3/1993 causa C-8/92 General Milk Products; sent. 2/5/1996 causa C-206/94 Brennet; sent. 12/5/1998 causa C-367/96 Alexandros Kefalas; sent. 9/2/1999 causa C-212/97 Centros; sent. 30/9/2003 causa C-167/01 Kamer van Koophandel; sent. 3/3/2005 causa C-32/03 I/S Fini; sent. 6/4/2006 causa C-456/04 Agip Petroli; sent. 5/7/2007 causa C-321/05 Hans Markus Kofoed; sent. 20/6/2013 causa C-653/11 Her Majesty's Commissioners).

Il nucleo centrale del divieto di abuso del diritto è che il rispetto del dato formale e letterale della legge non consente di utilizzare lo strumento normativo per porre in essere operazioni in contrasto con la ratio della norma medesima.

La giurisprudenza ravvisa la condotta abusiva da parte del contribuente quando:

  • § sussistono circostanze obiettive dalle quali traspare l'assenza di concreta motivazione economica all'attività posta in essere;


[PAGINE 31-32 NON DISPONIBILI]

I tributi ambientali possono operare su una base imponibile calcolata sul danno ambientale presunto in base alla grandezza dell'attività ovvero assumere i contorni di tributo di scopo volto a finanziare il risanamento.
Quindi l'obbligazione tributaria non trova fondamento diretto in un indice di ricchezza bensì nel fattore inquinante; un simile aspetto però non si discosta dal parametro costituzionale dell'art. 53 Cost. perché è l'attività nociva a costituire fonte di reddito e di capacità contributiva.
Nell'ambito dei tributi ambientali si ricordano le agevolazioni fiscali finalizzate a stimolare lo svolgimento delle attività in modo maggiormente eco-compatibile.

Il diritto europeo contempla due regole, in merito alla politica ambientale posta in essere dall'Unione:

  • § la politica in materia ambientale, oltre che ispirata da un elevato livello di tutela, deve tener conto della diversità delle situazioni nelle varie regioni dell'Unione;
  • § l'esigenza di salvaguardia e miglioramento ambientale non costituisce esimente alla violazione dei principi comunitari di non discriminazione, di non restrizione delle libertà fondamentali e del divieto di imporre dazi doganali o tasse ad effetto equivalente (CGE sent. 9/9/2004 causa C-72/03 Carbonati Apuani; sent. 21/6/2007 causa C-173/05 Commissione/Italia).

Le libertà fondamentali ed il principio di non discriminazione:

Le quattro libertà fondamentali sono:

  • § libera circolazione delle merci;
  • § libera circolazione delle persone;
  • § libera circolazione dei servizi;
  • § libera circolazione dei capitali.

Su tali argomenti ci si intratterrà diffusamente nel proseguo.
Per ora è sufficiente segnalare che, in aggiunta al riconoscimento delle libertà che ritroviamo nei Trattati TUE e TFUE, la Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea sancisce il divieto di qualsiasi discriminazione (art. 21), la libertà di circolazione e di soggiorno (art. 44), il diritto di lavorare, la libertà professionale e la liberà di impresa (artt. 15 e 16).

La tutela delle libertà fondamentali, in quanto rispondente ad un interesse generale, non ammette compensazioni economiche. Pertanto “Il trattamento fiscale sfavorevole in contrasto con una libertà fondamentale non può essere giustificato dall'esistenza di altri vantaggi fiscali, anche supponendo che tali vantaggi esistano” (CGE sent. 06/06/2000 causa C-35/98 Verkooijen).

Principio del primato del diritto europeo:

Il primato del diritto comunitario è invece pacifico in seno alla Corte di giustizia.

La Corte ha statuito che “Il giudice nazionale, incaricato di applicare, nell'ambito della propria competenza, le disposizioni di diritto comunitario, ha l'obbligo di garantire la piena efficacia di tali norme, disapplicando all'occorrenza, di propria iniziativa, qualsiasi disposizione contrastante della legislazione nazionale, anche posteriore, senza doverne chiedere o attendere la previa rimozione in via legislativa o mediante qualsiasi altro procedimento costituzionale.” (cfr. CGE sent. 09/03/1978 C-106/77 Simmenthal).

Anche la giurisprudenza italiana sembra ormai avere riconosciuto il primato del diritto comunitario sugli ordinamenti nazionali.

Dopo un iniziale orientamento contrario (Corte Cost. sent. n. 98 del 1965 n. 98) ed alcune aperture (Corte Cost. sentenze n. 183 del 1973, n. 232 del 1975 e n. 170 del 1984), si è registrato l'accoglimento di siffatto principio (Corte Cost. sentenze n. 384 del 1994 e n. 28 del 2010).

Al contempo è dato acquisito nella giurisprudenza comunitaria che il diritto europeo è passibile di attribuire diritti ai singoli in via diretta.

“Il diritto comunitario, indipendentemente dalle norme emananti dagli Stati membri, nello stesso modo in cui impone ai singoli degli obblighi, attribuisce loro dei diritti soggettivi. Si deve ritenere che questi sussistano, non soltanto nei casi in cui il Trattato espressamente li menziona, ma anche come contropartita di precisi obblighi imposti dal Trattato ai singoli, agli Stati membri o alle Istituzioni comunitarie” (cfr. CGE sent. 05/02/1963 causa C-26/62 Algemene Transport).

La Corte di giustizia ha pure chiamato la giurisdizione interna a vigilare sulla piena applicazione del diritto comunitario, applicando d'ufficio le norme europee.

“Poiché, in forza del diritto nazionale, i giudici devono sollevare d'ufficio i motivi di diritto basati su una norma interna di natura vincolante che non siano stati addotti dalle parti, siffatto obbligo si impone anche qualora si tratti di norme comunitarie vincolanti (...) Infatti, è compito dei giudici nazionali, secondo il principio di collaborazione enunciato dall'art. 5 del Trattato, garantire la tutela giurisdizionale spettante ai singoli in forza delle norme di diritto comunitario aventi effetto diretto” (cfr. CGE sent. 14/12/1995 cause riunite C-430/93 e C-431/93 Jeroen van Schijndel).

4. LE COMPETENZE DEGLI ORGANI EUROPEI IN MATERIA FISCALE

Tra i principali organi europei si annovera in primo luogo il Consiglio, composto da un rappresentante per ciascuno Stato.

Vi è poi la Commissione, composta da 27 membri, uno per ciascuno Stato, le cui competenze si incentrano su:

  1. adozione di norme che diano esecuzione agli atti del Consiglio;
  2. esercizio di poteri amministrativi diretti a vigilare sul rispetto degli obblighi comunitari.

In pratica la Commissione assume una funzione di indirizzo nonché di valutazione degli ordinamenti comunitario e nazionale e dei reciproci assetti, sì da orientare l'azione del Consiglio.
Poteri più pregnanti sono invece riservati alla Commissione per quanto concerne gli aiuti di Stato e le misure protezionistiche varate dai legislatori nazionali.

Infine deve menzionarsi il Parlamento, il cui potere più importante consiste nell'approvazione del bilancio UE; non esercita un potere legislativo diretto e svolge funzioni di controllo, in primis sulla Commissione, ancorché non assistite da strumenti di intervento coatto.

Funzionamento degli organi europei:

Il funzionamento del Consiglio e della Commissione è votato tendenzialmente alla regola dell'unanimità, su materie rilevanti e comunque in via residuale ai sensi dell'art. 352 TFUE. Ciò evidentemente significa attribuire a ciascuno Stato un potere di veto sull'azione comunitaria in un'ampia casistica.

L'art. 352 TFUE prevede:
  1. “1. Se un'azione dell'Unione appare necessaria, nel quadro delle politiche definite dai trattati, per realizzare uno degli obiettivi di cui ai trattati senza che questi ultimi abbiano previsto i poteri di azione richiesti a tal fine, il Consiglio, deliberando all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo, adotta le disposizioni appropriate. Allorché adotta le disposizioni in questione secondo una procedura legislativa speciale, il Consiglio delibera altresì all'unanimità su proposta della Commissione e previa approvazione del Parlamento europeo.
  2. 2. La Commissione, nel quadro della procedura di controllo del principio di sussidiarietà di cui all'articolo 5, paragrafo 3 del trattato sull'Unione europea, richiama l'attenzione dei parlamenti nazionali sulle proposte fondate sul presente articolo.
  3. 3. Le misure fondate sul presente articolo non possono comportare un'armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri nei casi in cui i trattati la escludono.


[PAGINE 36-39 NON DISPONIBILI]

5. IL RAPPORTO TRA ORDINAMENTO EUROPEO E ORDINAMENTI INTERNI

La Corte Costituzionale ha recepito il tendenziale primato del diritto europeo sull'ordinamento nazionale (Corte Cost. sentenze n. 384 del 1994 e n. 28 del 2010; Corte Cost. sentenze n. 183 del 1973, n. 232 del 1975 e n. 170 del 1984). Il substrato normativo di tale principio riposa negli articoli 11 e 117 Cost. in forza dei quali la norma comunitaria, tramite tale investitura costituzionale, risolve in proprio favore il contrasto con la disposizione interna.

Tuttavia la Corte Costituzionale ha precisato che tale preminenza dell'ordinamento comunitario trova il limite invalicabile nei principi fondamentali del nostro ordinamento e nei diritti inalienabili della persona umana, rispetto ai quali la medesima Corte mantiene il potere di sindacato sulla compatibilità del Trattato con la Costituzione italiana.
Si parla in proposito di controlimiti.

La Corte Costituzionale ha stabilito in più occasioni, negli anni settanta, l'illegittimità di leggi interne incompatibili con i regolamenti, sino a proclamare la competenza del giudice nazionale a disapplicare la norma interna in contrasto con la norma europea senza passare per il giudizio di legittimità costituzionale (Corte Cost. sent. n. 170 del 1984), con la precisazione che la disposizione comunitaria deve essere esaustiva e immediatamente applicabile (Corte Cost. sent. n. 47 e 48 del 1985).

Successivamente la Corte ha esteso il novero degli atti comunitari direttamente applicabili, oltre che ai regolamenti, anche alle direttive c.d. self executing (Corte Cost. sent. n. 168 del 1991, in aderenza a CGE sent. 17/12/1970 causa C-33/70 Sace) in virtù dei requisiti di:

  • chiarezza, precisione e completezza delle disposizioni;
  • assenza di condizioni alla loro efficacia;
  • inutile decorso del termine massimo per il loro recepimento nell'ordinamento interno.

In estrema sintesi si ricava una lettura sistematica della Corte Costituzionale che inquadra due diversi ordinamenti, autonomi ma comunicanti tra loro, uno (comunitario) sovrapposto all'altro (nazionale), salvi i predetti controlimiti.

La Corte di Giustizia ha espresso una posizione unitaria nel senso di ravvisare, nel rapporto tra Comunità europea e Stati membri, un unico ordinamento giuridico integrato attraverso un trasferimento, da parte degli Stati, di diritti, obblighi e funzioni, in un ottica di supremazia del diritto comunitario sui diritti nazionali (CGE sent. 15/07/1964 causa C-6/64 Flaminio Costa).


[PAGINE 41-44 NON DISPONIBILI]

6. LE LIMITAZIONI AL POTERE IMPOSITIVO DERIVANTI DALLA CEDU

La Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo (c.d. CEDU), adottata a Roma il 04/11/1950, reca varie disposizioni attinenti alla normativa tributaria:

  • il diritto ad un equo processo (art. 7);
  • la tutela della proprietà privata (art. 1, Protocollo n. 1);
  • la riserva di legge e l'irretroattività delle sanzioni (art. 7);
  • la tutela della riservatezza (art. 8);
  • il diritto al ricorso effettivo (art. 13);
  • il divieto di discriminazione (art. 14).

Per quanto concerne la possibile interferenza della Convenzione con l'ordinamento italiano, la giurisprudenza esclude un'applicazione diretta di questi principi.

La Corte Costituzionale ha chiarito che “il contrasto di una norma nazionale con una norma convenzionale, in particolare della CEDU, si traduce in una violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. Questa Corte ha, inoltre, precisato nelle predette pronunce che al giudice nazionale, in quanto giudice comune della Convenzione, spetta il compito di applicare le relative norme, nell'interpretazione offertane dalla Corte di Strasburgo, alla quale questa competenza è stata espressamente attribuita dagli Stati contraenti. Nel caso in cui si profili un contrasto tra una norma interna e una norma della Convenzione europea, il giudice nazionale comune deve, pertanto, procedere ad una interpretazione della prima conforme a quella convenzionale, fino a dove ciò sia consentito dal testo delle disposizioni a confronto e avvalendosi di tutti i normali strumenti di ermeneutica giuridica.
(...) il giudice comune non può procedere all'applicazione della norma della CEDU (a differenza di quella comunitaria provvista di effetto diretto) in luogo di quella interna contrastante” (cfr. Corte Cost., sent. 26/11/2009 n. 311).

Anche nella giurisprudenza europea, come si dirà, la concreta applicazione delle previsioni CEDU subisce rilevanti compressioni soprattutto in materia fiscale.

La tutela del patrimonio:

L'art. 1 del Primo protocollo addizionale alla Convenzione tutela la proprietà e stabilisce che “Ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni. Nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di pubblica utilità e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale”.

La disposizione potrebbe astrattamente estendere il proprio campo di azione al rapporto giuridico di imposta, per i suoi riflessi che esercita sul diritto di proprietà assoggettato al prelievo coatto. Tuttavia lo stesso art. 1, comma 2, specifica che “le disposizioni precedenti non portano


[PAGINE 46-48 NON DISPONIBILI]

7. LA RESPONSABILITÀ DEGLI STATI PER VIOLAZIONE DELLE NORME COMUNITARIE

Lo Stato membro è responsabile per la violazione ovvero per l'inadempimento di norme comunitarie, nei confronti dell'Unione Europea, degli altri Stati membri, degli enti territoriali, delle imprese e dei cittadini europei, verso i quali lo Stato inadempiente potrà essere chiamato a riparare il danno.

Lo Stato risponde anche per le violazioni perpetrate dalle sue amministrazioni pubbliche e dagli enti territoriali (Regioni, Province, Comuni), salvo poter esercitare, per lo meno nell'ordinamento italiano, l'azione di regresso.

Per quanto interessa l'area tributaria, la responsabilità dello Stato membro può concretizzarsi nella introduzione di previsioni fiscali incompatibili con:

  • le direttive e regolamenti;
  • le libertà fondamentali;
  • il principio di non discriminazione;
  • gli aiuti di stato;
  • lo spazio unico doganale;
  • gli altri principi ordinamentali;
  • i principi generali.

La violazione del diritto comunitario in ambito tributario può scaturire da condotte di vario genere tenute dallo Stato membro:

  • introduzione o permanenza di un tributo illegittimo;
  • diniego di un rimborso per indebito comunitario;
  • mancata attuazione dei principi del giusto procedimento (sempre che siano coinvolte materie di competenza comunitaria);
  • omissione di un atto di autotutela;
  • agevolazioni tributarie che integrano aiuti di Stato illegittimi;
  • emanazione di un atto amministrativo in conflitto col diritto europeo;
  • atti dell'autorità giurisdizionale.

A tale ultimo proposito, sulla responsabilità da inadempimento degli Stati membri per l'esercizio della propria attività giurisdizionale, la Corte ha sottolineato che “Il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempreché la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia sufficientemente caratterizzata e sussista un nesso causale diretto tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese” (CGE sent. 30/9/2003 causa C-224/01 Köbler).

Nello specifico dell'Italia, gli enti territoriali possono divenire responsabili allorquando non diano attuazione, nei limiti delle loro competenze, alle sentenze che abbiano accertato la violazione del diritto comunitario pronunziate dalla Corte di Giustizia contro lo Stato italiano; in proposito l'art. 43, Legge n. 234 del 2012 prevede che “le regioni, le province autonome, gli enti territoriali, gli altri enti pubblici e i soggetti equiparati adottano ogni misura necessaria a porre tempestivamente rimedio alle violazioni, loro imputabili, degli obblighi degli Stati nazionali derivanti dalla normativa dell'Unione europea. Essi sono in ogni caso tenuti a dare pronta esecuzione agli obblighi derivanti dalle sentenze rese dalla Corte di giustizia dell'Unione europea”.

Il medesimo art. 43, comma 2, contempla l'azione di regresso dello Stato nei confronti dell'ente territoriale inadempiente per il danno da esso prodotto.

Le conseguenze alle quali si espone lo Stato inadempiente si atteggiano differentemente a seconda del tipo di tipo di danno o di violazione perpetrata.

Aiuti di Stato illegittimi:

La violazione dell'ordinamento comunitario derivante dall'erogazione di aiuti di Stato non consentiti, comporta il dovere dello Stato membro di curare il recupero di tali aiuti per ristabilire le condizioni ordinarie di mercato, pur con le dovute eccezioni derivanti dal principio di affidamento (v. infra).

Restituzione del prelievo fiscale illegittimo:

Nel caso di tributo introdotto (o mantenuto) in violazione del diritto europeo, il relativo prelievo dovrà essere restituito al soggetto passivo.

Fa eccezione il caso in cui il soggetto passivo sia riuscito a traslare il relativo onere su di un terzo.

In ordine all'onere della prova sulla traslazione dell'imposta che impedirebbe l'esercizio del diritto al rimborso la Corte ha precisato che “Uno Stato membro non può subordinare il rimborso di tributi nazionali riscossi in contrasto con quanto disposto dal diritto comunitario alla prova che detti tributi non sono stati trasferiti su altri soggetti qualora il rimborso sia subordinato a criteri di prova che rendano praticamente impossibile l'esercizio di tale diritto, e ciò anche nel caso in cui il rimborso di altri dazi, imposte o tasse riscossi in contrasto col diritto nazionale sia sottoposto alle medesime condizioni restrittive” (CGE sent. 09/11/1983 causa C-199/82 San Giorgio).


[PAGINE 51-53 NON DISPONIBILI]

8. LE LIBERTÀ FONDAMENTALI DELL'UNIONE EUROPEA

Le libertà fondamentali sono l'essenza stessa dell'integrazione comunitaria e del mercato unico europeo. Trattasi de:

  • la libera circolazione di merci (art. 28 TFUE);
  • la libera circolazione delle persone (art. 45) e la libertà di stabilimento (art. 49);
  • la libera circolazione dei servizi (art. 56);
  • la libera circolazione dei capitali (art. 63).

La violazione della normativa comunitaria derivante dalla illegittima limitazione di una delle libertà, determina l'immediata disapplicazione della legislazione interna.

È superfluo accertare se la norma nazionale fosse animata da finalità protezionistica o anticoncorrenziale; la violazione e conseguente disapplicazione presuppongono unicamente la potenziale limitazione di una delle ridette libertà e quindi del principio di libera concorrenzialità.

È pacifico che la legislazione fiscale nazionale può entrare in conflitto con le libertà e come tale va disapplicata. Dunque il divieto per gli Stati membri di introdurre restrizioni alla libertà di stabilimento si applica anche alle disposizioni fiscali relative indifferentemente alle imposte indirette e dirette.

Secondo la costante giurisprudenza, se è vero che allo stato attuale del diritto comunitario la materia delle imposte dirette non rientra, in quanto tale, nella competenza della Comunità, ciò non toglie tuttavia che gli Stati membri sono tenuti ad esercitare nel rispetto del diritto comunitario le competenze da essi conservate (CGE sent. 14/02/1995 causa C-279/93, Schumacker; sent. 11/08/1995 causa C-80/94 Wielockx; sent. 16/07/1998 causa C-264/96 Imperial Chemical Industries; sent. 29/04/1999 causa C-311/97 Royal Bank of Scotland).

La violazione delle libertà fondamentali rileva a prescindere dalla eventuale discriminatorietà.

Dunque la violazione comunitaria della norma impositiva interna può essere constatata, generalmente, in base alle due situazioni più ricorrenti:

  • trattamento discriminatorio tra il soggetto residente e quello non residente, tale da porre quest'ultimo in condizione di svantaggio;
  • (oppure)

  • limitazione delle libertà di circolazione.

Nei rapporti tra il principio di non discriminazione e le libertà di circolazione, l'ambito applicativo di queste ultime è più ampio del primo. Difatti la legislazione di una Stato membro potrebbe pregiudicare la libertà di circolazione senza con questo essere obiettivamente discriminatoria.

La non discriminazione e le libertà di circolazione sono concetti diversi (tra le varie CGE sent. 01/07/1969 cause riunite C-2/69 e C-3/69 Sociaal Fonds voor de Diamantarbeiders), ancorché spesso siano interconnessi (CGE sent. 28/1/1986 causa C-270/83 Commissione/Francia).

Le libertà fondamentali possono essere altresì compromesse anche da condotte concertate tra due o più Stati.

Quindi la Corte ha ravvisato l'illegittimità di una convenzione internazionale contro la doppia imposizione (CGE sent. 12/5/1998 causa C-336/96 Gilly; s class="alert alert-warning"ent. 14/9/1998 causa C-291/97 H.; sent. 14/11/2006 causa C-513/04 Kerckhaert).

Sul tema della tutela delle libertà fondamentali, vige il divieto di ostruirle del tutto e anche il divieto di restrizione, quando il loro esercizio è reso disagevole o meno conveniente.

Libertà di circolazione delle merci:

La principale espressione normativa di tale libertà è l'eliminazione delle barriere doganali, con introduzione di una tariffa unica per le merci extra-UE. Si parla quindi di spazio unico doganale.
Ai sensi dell'3, comma 1, lett. a), TFUE, l'UE ha competenza esclusiva nel settore dell'unione doganale che, con l'abolizione dei dazi tra i Paesi membri, rappresenta il presupposto centrale affinché possa darsi corso alla libertà di circolazione delle merci.
Le barriere doganali sono state mantenute per l'ingresso nella Comunità europea delle merci provenienti dagli Stati che non sono membri.

Una volta che tali merci abbiano valicato i confini dell'UE e sia stato assolto il dazio, esse potranno circolare liberamente sul territorio comunitario senza dover subire ulteriori prelievi a tale titolo; si parla quindi di prodotti il libera pratica (artt. 28 e 29 TFUE).

L'art. 29 TFUE dispone che: “Sono considerati in libera pratica in uno Stato membro i prodotti provenienti da paesi terzi per i quali siano state adempiute in tale Stato le formalità di importazione e riscossi i dazi doganali e le tasse di effetto equivalente esigibili e che non abbiano beneficiato di un ristorno totale o parziale di tali dazi e tasse.”.

Gli articoli 28 e 30 TFUE contemplano le misure restrittive vietate:

  • dazi doganali all'importazione;
  • dazi doganali all'esportazione;
  • tasse di effetto equivalente.


[PAGINE 56-60 NON DISPONIBILI]

9. IL PRINCIPIO DI NON DISCRIMINAZIONE TRIBUTARIA

Tale principio impone di non trattare in modo diverso due situazioni similari ovvero non di trattare in modo analogo due situazioni diverse, in particolare nel confronto della disciplina, dei suoi effetti e della sua applicazione all'interno degli Stati membri tra soggetti residenti e non residenti, cittadini e non.

Il principio di non discriminazione è correlato alla tutela delle libertà fondamentali (CGE sent. 28/1/1986 causa C-270/83 Commissione/Francia).

Il principio in parola è applicabile in ambito tributario rispetto alle disposizioni fiscali discriminatorie (CGE sent. 28/1/1986 causa C-270/83 Commissione/Francia) e può derivare anche dall'esercizio della potestà impositiva di enti territoriali o di altri enti pubblici o affidatari dell'esercizio di poteri pubblici (CGE sent. 9/9/2004 causa C-72/03 Carbonari Apuani; sent. 21/6/2007 causa C-173/05 Commissione/Italia).

La discriminazione fiscale può interessare (sul punto CGE sent. 2/4/1998 causa C-296/95 The Queen; sent. 17/6/1998 causa C-68/96 Grundig Italia; sent. 17/6/1981 causa C-113/80 Commissione/Italia):

  • la differente strutturazione del tributo quanto a determinazione della base imponibile, misura dell'aliquota, individuazione del soggetto passivo, collocazione del momento impositivo;
  • l'accesso differenziato ad eventuali agevolazioni o benefici fiscali;
  • l'operatività differenziata di regole procedimentali (es. modalità dichiarative);
  • gravosità degli oneri probatori (es. inversioni probatorie, presunzioni);
  • oneri o prestazioni aggiuntive;
  • modalità nella riscossione dei tributi (es. diniego a rateizzazioni);

La discriminazione illegittima può avvenire anche indirettamente attraverso modalità dissimulate od occulte.

Il principio di non discriminazione, applicato alla libertà di circolazione delle merci, trova disciplina espressa in diverse disposizioni del TFUE:

  • l'art. 110 TFUE stabilisce che “Nessuno Stato membro applica direttamente o indirettamente ai prodotti degli altri Stati membri imposizioni interne, di qualsivoglia natura, superiori a quelle applicate direttamente o indirettamente ai prodotti nazionali similari. Inoltre, nessuno Stato membro applica ai


[PAGINE 62-64 NON DISPONIBILI]

10. GLI AIUTI DI STATO

Gli aiuti di Stato non sono vietati in modo assoluto e aprioristico. Ai sensi degli articoli 107 e 108 TFUE è prevista una procedura di avallo da parte della Commissione.
In estrema sintesi lo Stato membro comunica il progetto di aiuto alla Commissione, che apre un'istruttoria per verificare la compatibilità della misura di sostegno rispetto all'ordinamento europeo. Sin quanto non arriva l'approvazione da parte della Commissione l'aiuto è congelato e privo di effetti ancorché possa considerarsi formalmente valido nell'ordinamento interno.
In mancanza di preventiva comunicazione del progetto alla Commissione l'aiuto di Stato è del tutto illegale.

Affinché possa parlarsi di aiuti di Stato debbono ricorrere determinate caratteristiche:

  • in primo luogo deve trattarsi di una misura che comporta un trasferimento di risorse statali in senso lato (quindi anche provenienti da autorità nazionali, regionali o locali, banche e fondazioni pubbliche ecc.), concesso dallo Stato o da un organo o ente delegato dallo Stato (CGE sent. 21/03/1991 causa C-303/88 Italia/Commissione; sent. 14/10/1987 causa C-248/84 Germania/Commissione);
  • la misura comporta un vantaggio di carattere finanziario, che può consistere sia nel ricevere un apporto economico, sia nella riduzione dei costi. L'aiuto non comporta una controprestazione (CGE sent. 22/03/1977 causa C-78/76 Steinike & Weinlig);
  • l'aiuto è rivolto a imprese e produzioni nazionali, dove per impresa si intendono anche quelle iniziative economiche senza finalità di lucro;
  • l'aiuto è altresì selettivo perché i destinatari vengono selezionati da un punto di vista soggettivo (sul tipo di impresa), oggettivo (sul tipo di produzione o settore di attività) o territoriale (CGE sent. 15/12/2005 causa C-66/02 Italia/Commissione; sent. 08/11/2001 causa C-143/99 Adria-Wien Pipeline; sent. 29/04/2004 causa C-308/01 Gil Insurance). La selettività sussiste anche quando la ratio della misura è quella di dare impulso ad un singolo settore economico (CGE sent. 8/9/2011 cause C-78/08 e 80/08 riunite Paint Graphos). La misura di sostegno è invece legittima se si rivolge in modo indiscriminato alla generalità di imprese e produzioni nello Stato membro;
  • infine, aspetto assolutamente centrale, l'aiuto illegittimo comporta una potenziale distorsione di libera concorrenza nel mercato unico, anche solo in linea di principio quindi in via potenziale (CGE sent. 14/02/1990 causa C-301/87 Francia/Commissione; sent. 06/11/1990 causa C-86/89 Italia/Commissione).

Fin tanto che l'aiuto già dichiarato illegittimo non sia stato recuperato nei confronti dei beneficiari, lo Stato membro non può erogare all'impresa un altro aiuto ancorché quest'ultimo legittimo (CGE sent. 15/5/1997 causa C-355/95 TWD).

Nondimeno la nozione di aiuto di Stato non riguarda i provvedimenti statali che stabiliscono una differenziazione tra imprese e sono selettivi a priori, qualora la differenziazione risulti dalla natura o dalla struttura del sistema fiscale in cui tali provvedimenti si inseriscono (CGE sent. 02/07/1974 causa C-153/73 Holz & Willemsen; sent. 15/12/2005 causa C-148/04 Unicredito Italiano).

Vi sono delle deroghe al divieto di aiuti ammissibili allorquando la misura non sia espressamente considerata nociva per la concorrenza oppure, nonostante la perturbazione al regime del libero mercato, sussistano ragioni superiori.
Si tratta delle ipotesi previste dall'art. 107, comma 1, TFUE:

  1. gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall'origine dei prodotti;
  2. gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi eccezionali;
  3. gli aiuti concessi all'economia di determinate regioni della Repubblica federale di Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. Cinque anni dopo l'entrata in vigore del trattato di Lisbona, il Consiglio, su proposta della Commissione, può adottare una decisione che abroga la presente lettera.

Altri casi di aiuti consentiti sono menzionate dall'art. 107, comma 2, TFUE:

  1. gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale;
  2. gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro;
  3. gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse;
  4. gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nell' Unione in misura contraria all'interesse comune;
  5. le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.

Ai sensi dell'art. 109 TFUE le Istituzioni europee possono stabilire preventivamente le categorie di aiuti di Stato ammesse in aderenza alle sopra citate norme.

Sono infine ammissibili gli aiuti di ridotta entità (c.d. regola de minimis), che sono ammessi in via preventiva in forza del Regolamento n. 1998 del 28/12/2006 per le misure in favore del singolo interessato non superiore a € 500.000 in tre esercizi finanziari (limite inizialmente di € 200.000 poi innalzato dalla Commissione con Comunicazione n. 800 del 26/11/2008).

La Corte ha precisato che la competenza della Commissione ad esaminare la compatibilità di un aiuto con il mercato comune non osta a che un giudice nazionale sottoponga alla Corte una questione pregiudiziale sull'interpretazione della nozione di aiuto (CGE sent. 29/06/1999 causa C256/97 DM Transport).

Pertanto, la Corte può in particolare fornire al giudice del rinvio gli elementi di interpretazione di diritto dell'Unione che gli consentano di stabilire se una misura nazionale possa essere qualificata come aiuto di Stato ai sensi di tale diritto (CGE sent. 10/06/2010 causa C140/09 Fallimento Traghetti del Mediterraneo).

Il recupero degli aiuti di Stato illegittimi segue la disciplina interna dello Stato membro che deve essere rispettoso dei principi di equivalenza ed effettività del recupero.

Le controversie in materia di recupero degli aiuti di Stato sono devolute all'Autorità giudiziaria amministrativa (artt. 49 e 50 L. n. 234 del 2012).

Il recupero dell'aiuto lascia intatta la tutela del legittimo affidamento che il soggetto beneficiario riponeva in buona fede sulla validità della misura.

Il legittimo affidamento va valutato anche alla stregua del dovere di diligenza “qualificato”, cioè legato alla natura imprenditoriale dell'interessato e quindi di grado superiore a quella del buon padre di famiglia.

11. I TRIBUTI ARMONIZZATI

L'Unione Europea si è dotata di una disciplina specifica per i principali tributi indiretti - dazi, accise ed Iva - atteso che la frammentazione normativa tra i vari Stati membri sarebbe stato di per sé ostacolo alla libertà di circolazione, in primis delle merci.
La fiscalità diretta, invece, non gode ancora di una disciplina positiva europea generale, che eventualmente interviene su specifici aspetti del rapporto giuridico di imposta.

Iva:

Tale imposta indiretta trova disciplina nella Direttiva n. 2006/112/CE, applicabile dal 1/1/2007, che ha innovato e codificato in un unico corpo normativo le varie modifiche intercorse alla precedente “Sesta Direttiva” (n. 77/388/CEE).

L'IVA si applica a tutte le operazioni eseguite nell'UE a fronte di un corrispettivo (pagamento) da parte di soggetti passivi. Per soggetto passivo si intende qualsiasi persona o organismo che effettui cessione di beni o prestazione di servizi, di cui ricorra il presupposto oggettivo della tassazione, durante la propria attività. Anche le importazioni effettuate da tali soggetti sono soggette all'IVA.

Le operazioni imponibili comprendono le cessioni di beni o le prestazioni di servizi all'interno di un singolo paese dell'UE, le acquisizioni di beni intra-UE (beni ceduti e spediti o trasportati da un'azienda in un paese dell'UE verso un'azienda in un altro paese) e le importazioni di beni nell'UE dall'esterno.

Per quanto riguarda il luogo delle operazioni imponibili, si applicano norme diverse a seconda della natura dell'operazione, del tipo di prodotto fornito e della presenza o meno di trasporto:

  • cessione di beni: il luogo di tassazione è quello in cui i beni vengono ceduti;
  • acquisizione di beni intra-UE: il luogo di tassazione è quello in cui la parte che acquista i beni ne riceve la consegna, ossia il paese dell'UE dove i beni si trovano alla fine dopo il trasporto da un altro paese dell'UE;
  • importazioni di beni nell'UE dai paesi terzi: generalmente tassate nel paese dell'UE dove arrivano;
  • prestazione di servizi: il luogo di tassazione è quello in cui i servizi vengono prestati, che dipende non solo dalla natura del servizio prestato, ma anche dallo status dell'acquirente che riceve il servizio.
    Al fine di garantire che il servizio venga tassato nel posto in cui viene effettivamente goduto sono previste alcune eccezioni su:
    • o servizi relativi a beni immobili;
    • o trasporto di passeggeri;
    • o attività relative a cultura, sport, istruzione e intrattenimento;
    • o servizi di ristorazione.

L'IVA diventa esigibile a seconda della natura dell'operazione. Generalmente la rilevanza fiscale dell'operazione coincide con la cessione dei beni nel paese UE di acquisto, quando tale cessione viene completata. Per le importazioni nell'UE, l'evento generatore si ha quando i beni sono portati all'interno di un paese dell'UE.

La base imponibile nel caso della cessione di beni, della prestazione di servizi o dell'acquisto di beni intra-UE comprende tutti gli elementi che compongono il corrispettivo.

Qualora i beni siano importati, la base imponibile corrisponde al valore definito come valore in dogana. I dazi, le imposte e le altre tasse sono compresi nella base imponibile, mentre l'IVA stessa, i ribassi e le riduzioni di prezzo concessi all'acquirente sono esclusi.

L'aliquota IVA normale che tutti i paesi dell'UE devono applicare a beni e servizi è non inferiore al 15 %. I paesi dell'UE possono applicare una o due aliquote ridotte non inferiori al 5 % a beni o servizi specifici elencati nell'allegato III della direttiva. Si applicano inoltre, a determinate condizioni, una serie di disposizioni che derogano tali norme (aliquote più basse, aliquote ridotte su altri beni o servizi ecc.).

La direttiva prevede delle esenzioni dall'IVA, la maggior parte delle quali non gode del diritto di detrazione, ossia i servizi finanziari e assicurativi, l'assistenza sanitaria o i servizi sociali. Tuttavia, esistono anche esenzioni che godono del diritto di detrazione, ossia cessioni di beni intra-UE o esportazioni di beni verso paesi terzi. Alcune esenzioni sono obbligatorie per i paesi dell'UE, mentre altre sono opzionali.

I soggetti passivi hanno diritto a detrarre l'ammontare di IVA pagata sui beni o servizi acquistati nel paese dell'UE dove tali operazioni vengono eseguite. Tale IVA a monte può essere detratta dall'IVA da pagare sulle operazioni imponibili, ossia cessioni di beni o prestazioni di servizi a livello nazionale. In generale, non si ha diritto alla detrazione in caso di attività economica esente, o se il soggetto passivo rientra in un regime speciale. In determinati casi le detrazioni possono essere limitate o corrette.


[PAGINE 70-73 NON DISPONIBILI]

Dazi doganali:

L'attraversamento della merce dei confini dell'Unione Europea comporta, di regola, il dovere di assolvere il tributo in parola. Deve trattarsi di merce proveniente da paesi extra-UE destinati al consumo nel mercato comunitario o, viceversa, di merce provenienti da paesi comunitario che viaggia alla volta di mercati extracomunitari.

Si tratta di un tributo proprio dell'UE che viene riscosso dallo Stato membro di confine ma confluisce nella finanze comunitarie (si parla di diritti di confine).

Oltre al tributo in senso stretto sono dovuti i diritti doganali in favore dello Stato membro di confine, che vanno a remunerarlo per le attività di controllo e riscossione del dazio; trattandosi di corrispettivo per un servizio può parlarsi di tassa.

L'Iva assolta sulle importazioni viene considerata alla stregua di un diritto doganale, anche ai fini della procedura di applicazione e del meccanismo di definizione amministrativa delle controversie.

Il diritto comunitario in materia di legislazione doganale è stato codificato nel codice doganale comunitario di cui al Regolamento CEE n. 2913/92, entrato in vigore nel 1992 ed è applicabile dal 1° gennaio 1994. Il codice è stata aggiornato col Regolamento UE n. 952/13.

Il codice concerne segnatamente:

  • le disposizioni generali relative ai diritti e agli obblighi delle persone nei confronti della normativa doganale (diritto di rappresentanza, informazioni, ecc..);
  • le disposizioni di base che regolano gli scambi di merci (in particolare dazi all'importazione o all'esportazione, classificazione tariffaria delle merci e dell'origine di queste ultime);
  • le disposizioni che disciplinano l'introduzione delle merci sul territorio doganale della Comunità (presentazione in dogana, dichiarazione doganale, custodia temporanea);
  • le merci non comunitarie che circolano in regime di transito;
  • le destinazioni doganali (vincolo delle merci ad un regime doganale, immissione in libera pratica, transito, deposito doganale, perfezionamento attivo e passivo, trasformazione sotto controllo doganale, ammissione temporanea, esportazione);
  • l'introduzione di una merce in una zona franca o in un deposito franco, la riesportazione, la distruzione e l'abbandono delle merci all'Erario.

Una volta assolte le imposte doganali le merci extracomunitarie sono equiparate alle merci comunitarie (cd. nazionalizzazione) e possono circolare liberamente nel territorio UE (art. 79 e ss. CDC).
Viceversa, per le merci che valicano i confini destinate ai mercati extracomunitari, il pagamento dei dazi consente l'esportazione definitiva (art. 788 e ss. Disp. att. CDC)

Talora il passaggio della merce nei confini dell'UE non comporta l'insorgere dell'obbligazione tributaria. Infatti i dazi non sono dovuti se il passaggio della merce oltre lo spazio unico doganale è solamente provvisorio e i beni non sono destinati ad essere immessi nel mercato interno in caso di importazione o nel mercato estero in caso di esportazione. Più precisamente si tratta di:

  • importazione od esportazione temporanea, dette anche perfezionamento attivo o passivo: le merci non vengono nazionalizzate quindi rimangono estere e la tassazione viene sospesa (art. 114 e ss. CDC; art. 536 e ss. Disp. att. CDC);
  • transito comunitario esterno: passaggio temporaneo delle merci che saranno rispedite fuori dall'UE (art. 91 e ss. CDC); se poi le merci subissero una destinazione diversa saranno considerate immesse al consumo e si procederà alla riscossione dei dazi;
  • transito comunitario interno detto anche cabotaggio: le merci vengono trasportate per via marittima da un porto all' altro, attraverso le rotte commerciali che escono dai confini del mare territoriale; si applica la sospensione di imposta (art. 163 e ss. CDC);
  • circolazione o transito interno: le merci sono trasportate via terra percorrendo un tratto di territorio estero;
  • deposito: la merce estera viene depositata in locali custoditi dalla dogana o in locali privati autorizzati; le merci possono prendere qualsiasi destinazione e si trovano in regime di sospensione di imposta (art. 98 CDC e art. 524 e ss. Disp. att. CDC);
  • spedizione da una dogana all' altra;
  • trasformazione: la merce estera attraversa i confini dell'Unione europea per essere modificata e poi uscire senza essere venduta (art. 130 e ss CDC e art. 551-552 Disp att. CDC);
  • ammissione temporanea: la merce entra nell'Unione europea ed è destinata ad uscire senza essere modificata (es. esposizioni) (art. 137 CDC e 553 e ss. Disp. att. CDC).

L'Agenzia delle Dogane fornisce le seguenti delucidazioni in ordine ai diversi regimi doganali:

1. Immissione in libera pratica:

La merce non comunitaria acquisisce la posizione doganale di merce comunitaria. Essa presuppone una dichiarazione di vincolo al regime resa presso la dogana d'ingresso nell'Unione Europea.

L'operazione doganale implica le seguenti attività in dogana:

  • l'applicazione delle misure di politica commerciale (verifica delle licenze d'importazione, assenza di divieti, sussistenza e capienza di contingenti, ecc.);
  • l'espletamento delle altre formalità previste per l'importazione di una merce (controlli sanitari, fitosanitari, ecc.);
  • l'applicazione dei dazi legalmente dovuti secondo la normativa comunitaria.

Se la merce viene destinata anche all'immissione in consumo nel territorio dello Stato con l'assolvimento della fiscalità interna, prevista dalla legislazione nazionale, si realizza l'importazione della merce.

2. Transito:

Costituisce un regime doganale sospensivo che consente la circolazione di merci, sotto controllo doganale, tra due punti del territorio doganale della Unione Europea (nel caso del Transito comunitario) ovvero tra la UE, la Turchia, l'ex Repubblica jugoslavia di Macedonia e i Paesi EFTA, nonché tra questi ultimi (nel caso del Transito Comune).
Il vantaggio per gli operatori derivante dall'utilizzo del regime del Transito Comunitario/Comune è rappresentato dalla possibilità di far circolare, con un sistema di facile ed economico utilizzo, merci non comunitarie ovvero comunitarie, nei casi espressamente previsti dalla normativa dell'Unione Europea, che diversamente avrebbero dovuto assolvere agli oneri normalmente previsti per il loro inoltro da un punto all'altro della Comunità (dazi doganali, iva, accise ed altri oneri).

Con l'introduzione del mercato unico il campo di applicazione del regime comunitario si limita prevalentemente alle merci terze (transito comunitario esterno T1) ovvero, in taluni specifici casi, alle merci comunitarie (transito comunitario interno T2), purché vi siano espresse previsioni in tal senso. Tali previsioni riguardano:

  • le merci comunitarie in attraversamento/dirette/provenienti da Paesi EFTA;
  • le merci comunitarie dirette verso la Repubblica di San Marino (con esclusione di quelle italiane, assoggettate ad un regime fiscale di scambio) ed il Principato di Andorra;
  • le merci comunitarie dirette/provenienti/scambiate tra le parti delle Comunità non rientranti nel territorio fiscale di quest'ultima (trattasi delle Isole Åland, Isole Canarie, Isole Normanne, Guyana francese, Guadalupa, Martinica, Monte Athos e Riunione).

Le merci comunitarie in questione circolano in regime di Transito comunitario interno con le sigle di T2 e T2F; tale ultima sigla viene utilizzata nel caso di scambi che interessano le parti non rientranti nel territorio fiscale della Comunità come sopra indicate.

Il funzionamento in via ordinaria del regime in questione viene effettuato ed ha luogo mediante l'invio, tra gli uffici doganali competenti per l'operazione (ufficio doganale di partenza/garanzia/passaggio/destino), delle merci in transito, scortate dal DAT e accompagnate da una serie di messaggi informatici che hanno la funzione di documenti di transito.
Essendo l'Unione Europea un unico territorio doganale, gli uffici di passaggio esistono solo all'attraversamento dei confini dei Paesi Efta.

Per tutelare la fiscalità è necessario che l'operatore presenti una garanzia che può essere prestata per una singola operazione doganale (isolata) o per un numero di operazioni indefinito (globale), previa autorizzazione scritta rilasciata dall'autorità doganale competente e calcolata sulla base del valore del giro d'affari dell'operatore interessato in un determinato arco temporale.

Può, altresì, essere autorizzato l'esonero dalla garanzia, con le medesime modalità autorizzatorie e di calcolo della garanzia globale.
Esclusivamente in caso di problemi tecnici, la suddetta procedura informatica viene sostituita da una procedura di riserva basata sull'utilizzo di documenti cartacei.

Il transito può essere effettuato mediante l'utilizzo di procedure semplificate. Esse possono dipendere:

  • dalla natura e dall'affidabilità dell'operatore (speditore/destinatario autorizzato, che consentono la non presentazione della merce presso l'ufficio di partenza/destino, fermi restando i poteri di controllo dell'Amministrazione doganale);
  • dalle modalità di trasporto (a mezzo ferrovia, via aerea, via marittima e a mezzo condutture); in tutti questi casi vengono sostanzialmente utilizzati i documenti di trasporto tipici del settore che sostituiscono i documenti doganali assumendone però lo stesso valore.

3. Deposito doganale:

È un regime sospensivo ed economico in quanto consente, a fronte di apposita autorizzazione da parte dell'Autorità doganale, la sospensione del pagamento dei diritti gravanti sulle merci depositate.
Trattasi di strutture dove possono essere custodite le merci senza che le stesse siano sottoposte alla relativa imposizione tributaria, in attesa di procedere all'attribuzione della destinazione finale.

Sono ammesse al beneficio del regime in questione le seguenti tipologie di merci:

  • le merci non comunitarie in sospensione di diritti doganali;
  • le merci comunitarie, per le quali una normativa comunitaria specifica preveda, a motivo del loro collocamento nel deposito doganale, il beneficio di misure connesse in genere con l'esportazione delle merci, in attesa della destinazione finale delle stesse (art. 98, lett. b), del Reg. (CEE) 2913/1992).

Il deposito doganale è un luogo autorizzato dall'Autorità doganale e sottoposto al suo controllo nel quale le merci possono essere immagazzinate alle condizioni stabilite e si distingue in:

  • deposito pubblico ovvero un deposito doganale che può essere utilizzato da qualsiasi persona per l'immagazzinamento della merce;
  • deposito privato ovvero un deposito doganale destinato unicamente ad immagazzinare merci del depositario.

4. Perfezionamento attivo:

Ha lo scopo di incoraggiare e agevolare l'attività delle industrie di esportazione comunitarie, consentendo di importare senza pagare alcun dazio o prelievo agricolo, né subire l'effetto di alcuna misura di politica commerciale, le merci destinate ad essere perfezionate nella Comunità e quindi riesportate al di fuori di essa, sotto forma di prodotti compensatori.

Quando si importano dall'esterno della comunità dei prodotti necessari per produrne altri è necessario pagare dei dazi all'importazione, pagare eventuali Accise e aggiungere l'IVA. Tali costi vanno naturalmente ad aggiungersi al costo finale dei prodotti per la cui costruzione sono necessari. È evidente che in questo modo le merci prodotte all'interno della Comunità si troveranno a competere sui mercati internazionali in condizioni di inferiorità.

Con il perfezionamento attivo, si cerca di evitare che la tariffa doganale comune crei difficoltà per le industrie di esportazione comunitarie che siano obbligate a rifornirsi all'estero di certi materiali, non riuscendo a farlo all'interno della Comunità.
Naturalmente, è necessario evitare che utilizzando il perfezionamento attivo, i produttori comunitari ne vengano svantaggiati. È proprio per questo che l'autorizzazione al suo utilizzo è subordinata al verificarsi di almeno una tra una serie di condizioni economiche.

Nell'ambito del regime di perfezionamento attivo, le merci possono essere importate in esenzione di dazio per essere lavorate nella Comunità, a condizione che:

  • i prodotti ottenuti (che nel seguito verranno indicati come compensatori) siano esportati in un paese terzo;
  • le merci di importazione possano essere individuate nei prodotti compensatori;
  • i produttori comunitari non siano lesi nei loro interessi essenziali;
  • gli operatori interessati siano stabiliti nella Comunità.

Il regime in questione viene applicato attraverso due diversi sistemi:

  • sistema della sospensione, consiste nella sospensione della riscossione di dazi e IVA all'importazione, nonché di eventuali accise, finché non vengano esportati i prodotti compensatori. Tale sistema è applicabile a ogni tipo di merce;
  • sistema del rimborso, richiede il pagamento dei dazi all'importazione, che vengono poi rimborsati al momento dell'esportazione del prodotto finale. A differenza del precedente, quest'ultimo sistema non è applicabile alle merci soggette a restrizioni quantitative, contingentamenti tariffari, restituzioni all'esportazione e prelievi agricoli.

5. Perfezionamento passivo:

Permette di esportare temporaneamente merci comunitarie fuori dal territorio doganale della Comunità per sottoporle a trasformazione e reimportare i prodotti compensatori in esonero totale/parziale dei dazi all'importazione.
Scopo del regime è quello di permettere alle imprese europee di effettuare le lavorazioni presso aziende extracomunitarie usufruendo di un costo della manodopera inferiore a quello praticato in Europa oppure di usufruire di tecnologie più avanzate.

Il regime di perfezionamento passivo deve essere autorizzato dall'ufficio doganale competente sulla sede dell'operatore che richiede l'autorizzazione.

L'autorizzazione viene rilasciata quando è possibile accertare che i prodotti ottenuti (prodotti compensatori) sono quelli risultanti dalla lavorazione delle merci in temporanea esportazione. La merce viene quindi identificata all'atto dell'esportazione attraverso campioni, foto, matricole ecc..
All'atto della reimportazione dei prodotti compensatori, vengono pagati i diritti doganali (dazio e IVA) relativi al maggior valore acquisito dalle merci per effetto delle lavorazioni o trasformazioni ricevute all'estero (compenso di lavorazione).

In regime di perfezionamento passivo è possibile effettuare le seguenti operazioni:

  • la trasformazione di merci;
  • lavorazioni di merci compreso il montaggio, l'assemblaggio, l'adattamento ad altre merci;
  • la riparazione di merci compreso il riattamento e la messa a punto.

In quest'ultimo caso è possibile la reimportazione per equivalenza di prodotti di sostituzione (sistema degli scambi standard). I prodotti importati in sostituzione di quelli inviati in riparazione devono essere classificati nella stessa sottovoce tariffaria e avere le stesse qualità commerciali e caratteristiche tecniche della merce inviata in riparazione. I prodotti di sostituzione possono anche essere importati prima di effettuare la temporanea esportazione.

6. Trasformazione sotto controllo doganale:

Permette l'importazione di merci extracomunitarie da sottoporre a lavorazioni/trasformazioni nella Comunità senza che siano assoggettate al pagamento dei dazi afferenti che verranno applicati sul prodotto derivante dalla lavorazione. Elemento fondamentale per l'applicazione di tale regime è che esista una differenza di aliquota daziaria tra la materia prima e il prodotto finito, in particolare che la materia prima presenti un'aliquota daziaria più alta di quella del prodotto finito.

Scopo del regime è l'incremento dell'attività di trasformazione nella Comunità e quindi lo sviluppo delle imprese comunitarie. Tale regime viene concesso purché l'utilizzo di merci extracomunitarie non comporti pregiudizio agli interessi dei produttori comunitari delle materie prime oggetto di lavorazione (esame delle condizioni economiche).

Tutte le merci possono essere sottoposte al regime di trasformazione sotto controllo doganale e sottoposte a qualsiasi trasformazione purché venga rispettata la condizione sopra citata della presenza della diversa aliquota daziaria.

Per l'utilizzo del regime è necessario il preventivo rilascio dell'autorizzazione. A seconda del tipo di merce da vincolare al regime sono previste modalità e uffici diversi per il rilascio dell'autorizzazione.

7. Ammissione temporanea:

Permette l'importazione temporanea di merci extracomunitarie, per utilizzi vari, in esonero totale o parziale dai diritti doganali (dazio e IVA) e senza l'applicazione di misure di politica commerciale. La merce in ammissione temporanea deve essere riesportata senza aver subito modifiche a parte il normale deprezzamento dovuto all'uso che ne è stato fatto.

Nell'ipotesi in cui la merce non venga riesportata, ma nazionalizzata, dovranno essere pagati i diritti relativi (dazio e IVA), oltre agli interessi compensatori contabilizzati dalla data di vincolo della merce al regime di ammissione temporanea.

Scopo del regime è facilitare il traffico internazionale e la circolazione di strumenti, attrezzature e merci a fini economici e non (ad esempio mezzi di trasporto, merci utilizzate per esposizioni, fiere, convegni, merci a seguito di viaggiatori).

Il regime di ammissione temporanea va autorizzato e l'autorizzazione è subordinata alla possibilità di identificare la merce in temporanea importazione attraverso marchi, numeri di serie, matricole, fotografie.

All'atto della temporanea importazione deve essere prestata garanzia per i diritti doganali relativi alla merce in temporanea.

Tale regime è concesso:

  • in esonero totale nelle ipotesi rientranti nelle fattispecie indicate negli articoli da 555 a 578 del Reg. (CEE) 2454/93;
  • in esonero parziale per le fattispecie non rientranti in tali articoli, con il pagamento integrale dell'IVA ed in maniera parziale del dazio.

La merce in regime di ammissione temporanea può rimanere nella Comunità per un periodo massimo di 24 mesi; periodi più brevi sono previsti per alcuni tipi di merce.


[PAGINE 80-82 NON DISPONIBILI]

discriminatorietà (CGE sent. 18/06/1975 causa C-94/74 Igav; sent. 11/03/1992 cause riunite da C-78/90 a C-83/90 Compagnie commerciale de l'Ouest; in senso parzialmente difforme CGE sent. 03/02/2000 causa C-229/98 Vander Zwalmen e Massart).

La Corte ha affermato che se il tributo è destinato a finanziare attività a supporto del prodotto sul quale inerisce il prelievo, allorquando vi sia una compensazione integrale si tratta di tassa ad effetto equivalente, diversamente si può ricadere nella discriminazione fiscale (CGE sent. 11/3/1192 cause riunite da C-78/90 a C-83/90 Compagnie commerciale de l'Ouest; CGE sent. 27/10/1993 causa C-72/97 Commissione/Spagna; sent. 17/9/1997 causa C-130/96 Fazenda Publica).

La Corte ha precisato che, ove sia chiamata a verificare la legittimità della norma nazionale, è necessario indicare con precisione se la fattispecie è riconducibile al divieto di tasse ad effetto equivalente oppure alla violazione del principio di non discriminazione (CGE sent. 1/3/1966 causa C-48/65 Lutticke; sent. 17/7/1997 causa C-90/94 Haahr Petroleum; sent. 17/9/1997 causa C-130/96 Fazenda Publica).

Accise:

Sono le imposte sulla fabbricazione e il consumo che, di regola, vengono poi traslate sul consumatore nel prezzo finale di vendita.

Le accise costituiscono ovviamente un entrata finanziaria ma possono anche svolgere la funzione sociale di limitare o disincentiva l'utilizzo della sostanza sottoposta a tributo.

Le accise sono disciplinate in via generale dalla Direttiva 2008/118/CE.

Le accise di consumo gravano su energia elettrica, metano e tabacchi e le discipline specifiche sono le seguenti:

  • per prodotti energetici ed elettricità, direttiva 2003/96/CE;
  • per alcol e bevande alcoliche, direttive 92/83/CEE e 92/84/CEE;
  • per tabacchi lavorati, direttiva 2011/64/UE.

Le accise di fabbricazione colpiscono oli minerali, oli lubrificanti e bitumi, bevande alcoliche, fiammiferi; per le accise di fabbricazione il presupposto oggettivo si perfeziona al termine del procedimento produttivo.

La dicotomia si ricompone nella concreta esplicazione del tributo poiché entrambe le tipologie di accisa diventano esigibili con l'immissione al consumo dei prodotti e nello Stato in cui ciò avviene.

Purché non comportino formalità connesse all'attraversamento delle frontiere nell'UE e quindi un rallentamento del passaggio delle merci tra i confini intra-UE, gli Stati membri possono introdurre altre forme di imposizione indiretta:

  • su prodotti diversi dai prodotti sottoposti ad accisa;
  • sulle prestazioni di servizi, compresi i servizi relativi a prodotti


[PAGINE 84-85 NON DISPONIBILI]

12. L'IMPOSIZIONE INDIRETTA SULLA RACCOLTA DI CAPITALI

La materia è di particolare delicatezza per il nesso che la lega al principio di libera circolazione dei capitali ex art. 63 TFUE.

La Direttiva 2008/7/CE è di precipua importanza perché disciplina l'imposizione indiretta interna agli Stati membri per alcune operazioni societarie.
Il principio al quale si rifà la direttiva è di evitare la tassazione indiretta su operazioni mirate a riorganizzare e rafforzare le società di capitali o di aumento del capitale sociale (CGE sent. 2/1/1997 causa C-188/95 Fantask).

Difatti gli obiettivi sottesi alla Direttiva 2008/7/CE sono - oltre che ovviamente di favorire la libera circolazione dei capitali - di:

  • contrastare forme di doppia imposizione e applicare l'imposizione indiretta sulla raccolta di capitale una sola volta nel mercato unico;
  • eliminare disparità di trattamento tra Stati membri;
  • armonizzare la struttura del tributo indiretto e le aliquote;
  • eliminare altre forme di imposizione indiretta sulla raccolta dei capitali o simili.

Più nello specifico, le operazioni sulle quali si incentra l'operatività della Direttiva sono:

  • conferimenti di capitale in fase di costituzione o di aumento;
  • conferimenti di capitale tramite prestiti o prestazioni di servizi effettuati nel quadro dei conferimenti di capitale;
  • formalità per registrare le attività e le società di capitali;
  • modificazioni dell'atto costitutivo (trasformazioni societarie, modifiche della sede legale o amministrativa, modifica dell'oggetto sociale, proroga della durata);
  • operazioni di ristrutturazione societaria;
  • creazione, ammissione, emissione in borsa, messa in circolazione o negoziazione di azioni, quote sociali, titoli o certificati;
  • prestiti contratti sotto forma di emissione di obbligazioni o di altri titoli negoziabili e formalità collegate.

La Corte di Giustizia ha affermato che l'esenzione prescritta dalla Direttiva non coinvolge la fusione per annullamento dal momento che non si ravvisa un apporto patrimoniale (CGE sent. 13/10/1992 causa C-50/91 Commerz-Credit-Bank).

La Direttiva 2008/7/CE fa salva l'eventuale imposta sui conferimenti introdotta dallo Stato membro prima del 1/1/2006; in tal caso dovrà essere prevista un aliquota unica non superiore a quella in vigore alla data del 1/1/2006 e comunque nella misura massima dell'1%.

Nelle operazioni societarie esenti sono legittimi:

  • le imposte sul trasferimento di valori mobiliari, di beni immobili e aziende inclusi nel conferimento societario, di altri beni inclusi nel conferimento societario ove vi sia un corrispettivo in danaro che si aggiunge all'assegnazione della partecipazione societaria;
  • le imposte sulla costituzione, iscrizione, cancellazione di privilegi e ipoteche;
  • i diritti che vanno a remunerare l'attività amministrativa richiesta per l'operazione, calcolati sul costo delle formalità e degli atti amministrativi comprese le operazioni minori (CGE sent. 10/9/2002 cause riunite C-216/99 e 222/99 Prisco), incluse le spese generali (CGE sent. 20/4/1993 cause riunite C-71/91 e 178/91 Ponente Carni);
  • l'imposta sul valore aggiunto.

Tuttavia tali imposte non debbono operare discriminazioni a danno di soggetti non residenti e quindi non possono comportare maggiori oneri rispetto ad operazioni similari tra soggetti residenti.

In merito al rapporto dell'ordinamento comunitario rispetto all'imposta di registro si segnalano le seguenti decisioni: CGE sent. 5/2/1991 causa C-15/89 Deltakabel; sent. 13/2/1996 cause riunite C-197/94 e 252/94 Bautiaa; sent. 27/10/1997 causa C-152/97 Abruzzi Gas; sent. 3/12/1991 causa C-164/90 Muwi Bouwgroep; sent. 13/10/1992 causa C-50/91 Commerz-Credit-Bank; sent. 11/12/1997 causa C-42/96 Immobiliare Sif.

13. LE IMPOSTE DIRETTE E LA LORO ARMONIZZAZIONE

Si è già parlato del codice di condotta del pacchetto Monti che pone i presupposti per una graduale armonizzazione delle imposte dirette e dichiara il contrasto alla concorrenza fiscale dannosa.
Qui di seguito vengono rapidamente analizzate le fonti europee in ambito di imposizione diretta.

Direttiva madre-figlia e tassazione dei dividendi:

La Direttiva 90/435/CEE (poi modificata dalle Direttive 2003/123/CE e 2006/98/CE) sopprime la doppia imposizione nell'ambito dei gruppi societari e manda esenti da imposte dirette gli utili distribuiti sotto forma di dividendi dalle società controllate o collegate stabilite in uno Stato membro (cd. società figlie) in favore delle società controllanti stabilite in un altro Stato membro (cd. società madri). Ciò per evitare che la doppia imposizione sugli utili possa limitare la libertà di circolazione dei capitali e di stabilimento.

La Direttiva è stata recepita nell'ordinamento italiano dall'art. 7-bis DPR 600/73.

L'esenzione si applica:

  • alla distribuzione degli utili percepiti da stabili organizzazioni di società di altri Stati membri situate in tale Stato membro e provenienti dalle loro società figlie di uno Stato membro diverso da quello in cui è situata la stabile organizzazione,
  • alla distribuzione degli utili effettuata da società di questo Stato a stabili organizzazioni, situate in un altro Stato membro di società del medesimo Stato membro di cui sono società figlie.

Gli utili distribuiti da una società figlia alla sua società madre sono esenti dalla ritenuta alla fonte.

Le condizioni affinché la società partecipata (figlia) possa accedere al regime di esenzione sui dividendi sono:

  • che la società partecipante (madre) detenga una partecipazione non inferiore al 10% del capitale o dei diritti di voto (la Direttiva n. 123/2003 ha ridotto tale percentuale che prima era al 25%;
  • che la partecipazione sia detenuta ininterrottamente per un periodo minimo di due anni, riducibile dagli Stati membri (in Italia è stato previsto un anno).

Se tale requisito temporale si perfeziona dopo la distribuzione dei dividendi assoggettati a ritenuta, la società partecipante ha diritto al rimborso del corrispondente


[PAGINE 89-93 NON DISPONIBILI]

14. I MONOPOLI FISCALI

L'istituto è affrontato dall'art. 37 TFUE che preliminarmente contrasta qualsiasi discriminazione fra i cittadini degli Stati membri per quanto riguarda le condizioni relative all'approvvigionamento e agli sbocchi; inoltre la norma prevede l'astensione da ogni nuova misura contraria ai principi comunitari. Ciò si riflette nel divieto di istituire nuovi monopoli.

L'art. 37 prevede anche che gli Stati procedano ad un riordino dei monopoli nazionali, in un'ottica evidentemente di armonizzazione e tutela del mercato unico concorrenziale.

La disciplina trova completamento nell'art. 107 TFUE, ai sensi del quale le imprese che operano in regime di monopolio sono comunque sottoposte alle norme dei trattati, in particolare alle regole di concorrenza, nei limiti in cui la loro applicazione non osti all'adempimento della specifica missione loro affidata. Quindi l'operatività del monopolio è strettamente vincolata agli scopi della sua costituzione.

In Italia sono ancora operativi il monopolio dei tabacchi lavorati e delle sigarette e il monopolio nel settore dei giochi e scommesse.

La problematica maggiormente sentita - che tra l'altro ha dato luogo ad un rilevante contenzioso - riguarda la concessione statale per effettuare attività di gioco e scommessa.
Infatti le concessioni debbono rispettare il principio di non discriminazione, garantendo la possibilità di accesso a tutte le imprese nazionali ed europee non residenti (CGE sent. 06/11/2003 causa C-243/01 Gambelli).

Un'altra questione sui giochi e scommesse riguarda la possibilità per i residenti in Italia - possibilità oggi ampliata dalle scommesse e giochi su internet - di avvalersi di servizi resi fuori dal monopolio statale. Del resto il giocatore riscontra spesso migliori condizioni in questi tipi di giochi e scommesse che si sottraggono al carico fiscale ordinario altrimenti previsto nella concessione statale.

Tuttavia la normativa nazionale prevede sanzioni che puniscono sia l'organizzazione e la pubblicità, sia la partecipazione a giochi e scommesse irregolari, anche telefonici o telematici (artt. 4, 4-bis e 4-ter L. 401/89). Tale apparato sanzionatorio rischia di porsi in antitesi con il principio europeo della libera circolazione dei servizi, profilo più volte affrontato dalla giurisprudenza comunitaria.

In un procedimento pregiudiziale aperto da un Tribunale italiano, la Corte ha statuito che “Una normativa nazionale contenente divieti - penalmente sanzionati - di svolgere attività di raccolta, accettazione, prenotazione e trasmissione di proposte di scommessa, relative, in particolare, a eventi sportivi, in assenza di concessione o autorizzazione rilasciata dallo Stato membro interessato, costituisce una restrizione


[PAGINA 95 NON DISPONIBILE]

15. LA COOPERAZIONE TRA STATI

Il principio di collaborazione al quale debbono attenersi gli Stati, previsto in via generale dall'art. 4 TUE, riguarda sia i rapporti tra Stati membri, sia tra Stati e amministrazioni od organi dell'Unione Europea.

In seno alla normativa secondaria si menzionano:
  • Direttiva n. 77/799/CEE sulla collaborazione in via generale;
  • Direttive n. 79/1070/CEE, 92/12/CEE e 2004/106/CE, che hanno modificato la predetta Direttiva 77/799/CEE;
  • Direttiva n. 2003/48/CE sulla tassazione dei redditi da risparmio sotto forma di interessi (v. supra);
  • Direttiva n. 2004/56/CE
  • Reg. 92/218 (imposte dirette);
  • Reg. 92/3046 e 2002/792 e 2003/1798 e 2010/904 (Iva);
  • Reg. 97/515 (tributi doganali);
  • Reg. 1999/1073 (lotta antifrode).

Il principio di collaborazione viene ritenuto pacificamente applicabile in ambito fiscale e la sua rilevanza si esplica in primo luogo sullo scambio di informazioni (CGE sent. 20/10/2010 causa C-72/09 Établissements Rimbaud).

La Direttiva n. 77/799/CEE prevede che le autorità competenti degli Stati membri scambino ogni informazione atta a permettere loro una corretta determinazione delle imposte sul reddito e sul patrimonio e tutte le informazioni relative alla determinazione delle imposte indirette (imposta sul valore aggiunto; accise sull'alcol e sulle bevande alcoliche; accise sui tabacchi lavorati).

La Direttiva precisa che sono considerate imposte sul reddito e sul patrimonio, indipendentemente dal sistema di riscossione, le imposte applicate al reddito complessivo, al patrimonio complessivo o ad elementi del reddito o del patrimonio, ivi comprese le imposte sui proventi derivanti dall'alienazione di beni mobili o immobili, le imposte sui salari e stipendi corrisposti dalle imprese, nonché le imposte sui plusvalori.

Lo scambio di informazioni viene generalmente avviato su richiesta da uno Stato membro all'altro.

Tutte le informazioni che uno Stato membro abbia ottenuto in virtù di dette direttive sono tenute segrete, in tale Stato, allo stesso modo delle informazioni raccolte in applicazione della legislazione nazionale.

Le suddette direttive non impongono l'obbligo di fare effettuare ricerche o di trasmettere informazioni quando la legislazione o la prassi amministrativa dello Stato membro che dovrebbe fornire le


[PAGINA 97 NON DISPONIBILE]


PARTE SECONDA - DIRITTO PROCESSUALE

16. PREMESSA

La seconda parte del presente contributo è dedicata alle norme processuali che regolamentano l'accesso agli organi giurisdizionali dell'ordinamento europeo.
Dal momento che in materia fiscale non esiste una specifica giurisdizione tributaria con regole processuali peculiari, come invece avviene nell'ordinamento italiano, ne consegue che il presente studio degli istituti processuali europei può ritenersi valido anche fuori dall'ambito tributario.

Anticipando quanto si approfondirà nel prosieguo, giova subito evidenziare che per il privato cittadino o per l'impresa l'accesso alla giurisdizione europea è fortemente limitata.

Dunque, giusto per esemplificare, il cittadino, il quale si ritenga leso dallo Stato membro in un suo diritto riconosciuto dall'ordinamento comunitario, difficilmente potrà adire la Corte di giustizia dell'Unione europea per ottenere l'annullamento di atto impositivo che reputi emesso in violazione delle fonti di diritto europee oppure il risarcimento dei danni.

Nondimeno, le limitazioni che emergono dal quadro giurisprudenziale e normativo nell'accesso diretto del contribuente, del cittadino o dell'impresa europea agli organi giudiziari europei non deve essere - per lo meno a parere di chi scrive - motivo di scoramento per non far valere gli interessi del privato in tutte le possibili sedi.

Il convincimento che ciò che oggi non sembra possibile domani può diventarlo deriva anche dalla constatazione che l'ordinamento europeo si basa su un substrato normativo positivo sul quale si erge una fiorente attività giurisprudenziale orientata ad un modello di common law.
Dunque il precedente giurisprudenziale assume un valore tendenzialmente vincolante, seppure non in termini assolutistici, tale per cui non si assiste a repentine modificazioni nell'orientamento dei giudici oppure alla coesistenza di orientamenti antitetici.
Con ciò si vuol significare che, all'interno di un ordinamento flessibile quale è quindi quello europeo, la difesa del contribuente o del privato deve sapere intercettare la crescente sensibilità della Corte di giustizia verso la maggiore tutela dei diritti e delle libertà fondamentali.

In questa seconda parte si completa anche il quadro, già avviato nella parte dedicata ai principi sostanziali, sulla tutela dei diritti riconosciuti dalla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo che, completando quanto esposto al capitolo §.6, offre un breve excursus del processo avanti alla Corte EDU.

Sembra opportuno porre in evidenza come, diversamente da quanto accade di fronte alla Corte di giustizia dell'Unione Europea, la giurisdizione esercitata dalla Corte europea dei diritti dell'uomo è votata all'accesso diretto e immediato del privato a propria tutela nei confronti degli Stati firmatari della Convenzione.

17. GLI ORGANI GIURISDIZIONALI EUROPEI

L'attività giurisdizionale nell'ordinamento europeo è retta dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea, la cui esistenza è prevista dall'art. 13 TUE tra le Istituzioni dell'Unione. Ai sensi dell'art. 19 TUE la Corte di giustizia dell'Unione europea comprende la Corte di Giustizia, il Tribunale e i tribunali specializzati (tra i quali il Tribunale per la funzione pubblica).

L'art. 19 TUE affida alla Corte di giustizia dell'Unione europea la competenza generale ad assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione del trattati.

Anticipando quanto si dirà più diffusamente nell'analisi dei regolamenti di procedura, l'art. 19, comma 3, TUE, precisa che il pronunciamento della Corte è innescato:

  • dal ricorso presentato da uno Stato membro, da un'istituzione o da una persona fisica o giuridica;
  • in via pregiudiziale, su richiesta delle giurisdizioni nazionali, sull'interpretazione del diritto dell'Unione o sulla validità degli atti adottati dalle istituzioni;
  • negli altri casi previsti dai trattati.

La costituzione, la determinazione delle funzioni, quindi l'ossatura istituzionale della Corte di giustizia dell'Unione europea, sono rimesse, ai sensi dell'art. 281 TFUE, ad apposito Statuto (approvato come Protocollo n. 3 del Trattato di Lisbona).

La modificazione dello Statuto avviene tramite procedura legislativa ordinaria da parte del Parlamento europeo e del Consiglio, su richiesta della Corte di giustizia previa consultazione della Commissione o viceversa. E' agevole ricavare una certa blindatura del testo dello Statuto che presuppone un iter comune e condiviso delle massime istituzioni.

L'art. 281, comma 2, TFUE precisa l'immodificabilità dello Statuto quanto al Titolo I (dedicato ai giudici e avvocati generali e alla loro terzietà) e all'art. 64 dello Statuto (sul regime linguistico applicabile alla Corte).

La disciplina dello Statuto è poi integrata dai regolamenti di procedura della Corte di giustizia e del Tribunale.
Tali regolamenti sono stabiliti all'insegna dell'autodeterminazione della Corte laddove l'art. 253, comma 6, TFUE prevede che la Corte di giustizia stabilisce il proprio regolamento di procedura che viene poi sottoposto all'approvazione del Consiglio. Lo stesso dicasi per il Tribunale, ai sensi dell'art. 254, comma 5, TFUE e per i tribunali specializzati, ai sensi dell'art. 257, comma 5, TFUE, che agiscono di


[PAGINE 101-106 NON DISPONIBILI]

19. LE COMPETENZE DELLA CORTE DI GIUSTIZIA DELL'UNIONE EUROPEA

Le funzioni della Corte di giustizia sono individuate in via generale dal ridetto art. 19 TUE che è estremamente chiaro nel circoscrivere i poteri giurisdizionali non a tutte le situazioni giuridiche bensì a determinate casistiche, le quali possono essere ricondotte a macro aree di intervento:

  • interpretazione delle fonti comunitarie con finalità nomofilattica e di integrazione dell'ordinamento;
  • accertamento di condotte inadempienti o illegittime degli Stati membri rispetto ai doveri su di loro posti dal diritto europeo;
  • annullamento di atti illegittimi promananti dalle Istituzioni europee;
  • tutela dei diritti soggettivi in materia di responsabilità extracontrattuale delle Istituzioni, organi e organismi dell'Unione europea.

Si aggiungono poi le funzioni dei tribunali specializzati in merito ai rapporti tra Unione e i suoi agenti, in particolare i suoi dipendenti o alla tutela della proprietà intellettuale.

E' bene sottolineare subito che, ai sensi dell'art. 274 TFUE, le competenze giurisdizionali della Corte di giustizia sono quelle ad essa attribuite dai trattati e la controversia nella quale è parte l'Unione europea non è, per ciò soltanto, sottratta alla competenze delle giurisdizioni nazionali.

La funzione precipua della Corte di giustizia, pur con le varie declinazioni e sfumature, rimane quella sancita dall'art. 19 TUE di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati in uno con gli atti di fonte derivata, quali sono gli atti emanati dalle Istituzioni.

Si ricorda che la giurisprudenza della Corte può essere considerata una fonte secondaria del diritto europeo.

Come si avrà modo di approfondire nel proseguo, l'accesso alla giustizia per quanto concerne la legittimazione attiva è discriminato in base al tipo di azione ed è tendenzialmente inibito o comunque fortemente limitato per i soggetti privati, cittadini e persone giuridiche.

Ulteriore delimitazione dei poteri della Corte deriva dall'art. 275 TFUE che esclude le disposizioni relative alla politica estera e di sicurezza comune, salvo il controllo sulla procedura adottata.


[PAGINA 108 NON DISPONIBILE]

20. I TIPI DI AZIONI E DI DOMANDE NELLA GIURISDIZIONE EUROPEA

La Corte di giustizia dell'Unione europea è competente a conoscere e a pronunziarsi sulle seguenti domande:

  • azione di inadempimento contro uno Stato membro;
  • azione di annullamento di atti delle istituzioni europee;
  • azione per accertamento dell'illegittimità di atti di fonte europea;
  • azione per constatazione dell'inattività delle istituzioni europee;
  • azione di responsabilità extracontrattuale dell'Unione europea;
  • domanda di pronuncia pregiudiziale.

Si passeranno ora in rassegna le singole azioni.

Azione di inadempimento contro uno Stato membro:

L'azione di inadempimento, o ricorso per infrazione, viene esercitata contro uno Stato membro dalla Commissione oppure, evenienza estremamente rara, dai singoli Stati membri.
Si parla di inadempimento in caso di mancata ottemperanza degli obblighi o di violazioni in relazione a trattati, fonti derivate (regolamenti, direttive) o sentenze della Corte di giustizia.

L'inadempimento è rilevante anche quando consiste in una condotta tenuta da un organo, da un'istituzione interna allo Stato membro, anche costituzionalmente indipendente (CGA sent. 05/05/1970 causa C-77/69; sent. 09/12/2003 causa C-129/00).

E' estremamente interessante quell'orientamento che ravvisa la responsabilità dello Stato membro anche per inadempimenti o violazioni dell'ordinamento comunitario riconducibili ad un organo giudiziario.

“Il principio secondo cui gli Stati membri sono obbligati a riparare i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario che sono loro imputabili si applica anche allorché la violazione di cui trattasi deriva da una decisione di un organo giurisdizionale di ultimo grado, sempreché la norma di diritto comunitario violata sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli, la violazione sia sufficientemente caratterizzata e sussista un nesso causale diretto tra questa violazione e il danno subito dalle parti lese. Al fine di determinare se la violazione sia sufficientemente caratterizzata allorché deriva da una tale decisione, il giudice nazionale competente deve, tenuto conto della specificità della funzione giurisdizionale, accertare se tale violazione presenti un carattere manifesto. Spetta all'ordinamento giuridico di ciascuno Stato membro designare il giudice competente a risolvere le controversie relative al detto risarcimento” (CGA sent. 30/9/2003 causa C-224/01 Kobler).

Ed ancora “Il diritto comunitario osta ad una legislazione nazionale che escluda, in maniera generale, la responsabilità dello Stato membro per i danni arrecati ai singoli a seguito di una violazione del diritto comunitario imputabile a un organo


[PAGINE 110-123 NON DISPONIBILI]

21. LA RIPARTIZIONE DELLE COMPETENZE TRA CORTE E TRIBUNALE

E' possibile delineare il seguente quadro di sintesi.

Competenze della Corte di giustizia:

  • cause di rinvio pregiudiziale sollecitate da un organo giurisdizionale di uno degli Stati membri;
  • domande pregiudiziali sulla validità di un atto dell'Unione europea;
  • ricorsi per inadempimento contro gli Stati membri in relazione agli obblighi che incombono su di essi in forza del diritto dell'Unione;
  • ricorsi per pagamento di somma forfettaria e/o di una penalità in caso di persistenza nell'inadempimento già accertato;
  • ricorsi per annullamento avverso un atto di un'istituzione, di un organo o di un organismo (in particolare regolamento, direttiva, decisione), proposti da uno Stato membro contro il Parlamento europeo o contro il Consiglio (fatta eccezione per gli atti di quest'ultimo in materia di aiuti di Stato, di dumping e di competenze di esecuzione) o presentati da un'istituzione dell'Unione contro un'altra istituzione;
  • ricorsi per carenza al fine di verificare la legittimità dell'inerzia serbata da un'istituzione, da un organo o da un organismo dell'Unione, promossi da uno Stato membro contro il Parlamento europeo o contro il Consiglio (fatta eccezione per gli atti di quest'ultimo in materia di aiuti di Stato, di dumping e di competenze di esecuzione) o presentati da un'istituzione dell'Unione contro un'altra istituzione;
  • impugnazioni contro le sentenze e le ordinanze del Tribunale;
  • riesami sulle decisioni del Tribunale rese sui ricorsi avverso le decisioni del TFP.

Competenze del Tribunale:

  • ricorsi per annullamento avverso un atto di un'istituzione, di un organo o di un organismo (in particolare regolamento, direttiva, decisione), comprese le sanzioni, proposti dalle persone fisiche e giuridiche;
  • ricorsi per carenza al fine di verificare la legittimità dell'inerzia serbata da un'istituzione, da un organo o da un organismo dell'Unione, promossi dalle persone fisiche e giuridiche;
  • ricorsi proposti dagli Stati membri contro la Commissione;
  • ricorsi proposti dagli Stati membri contro il Consiglio, riguardanti aiuti di Stato, misure di difesa commerciale («dumping») e l'esercizio delle competenze di esecuzione;
  • ricorsi per responsabilità extracontrattuale, diretti a ottenere il risarcimento dei danni causati dalle istituzioni o dagli organi o organismi dell'Unione europea o dai loro agenti;
  • ricorsi fondati su contratti stipulati dall'Unione europea, che prevedono espressamente la competenza del Tribunale;
  • ricorsi nel settore della proprietà intellettuale;
  • impugnazioni contro le decisioni del TFP.

La competenza del Tribunale può essere estesa ad altre categorie di ricorsi ove lo Statuto disponga in tal senso (art. 256, comma 1, TFUE). Parimenti lo Statuto può conoscere delle questioni pregiudiziali ai sensi dell'art. 267 in materie specifiche (art. 256, comma 3, TFUE) ma tale estensione di competenza non è ancora avvenuta.

22. LE CARATTERISTICHE ESSENZIALI DEL PROCESSO

Le fasi processuali:

Di regola il processo europeo si articola in:

  • fase scritta;
  • fase orale;
  • fase decisoria.

Sono poi ammesse delle varianti per quanto concerne la derogabilità del momento orale (c.d. rito accelerato ex art. 59 reg. proc. Corte, art. 151 reg. proc. Trib.) o l'assottigliamento della fase scritta.
A latere vi sono poi gli incidenti di esecuzione.

Il contraddittorio:

I regolamenti curano la salvaguardia del contraddittorio tra le parti e dell'esercizio pieno del diritto di difesa lungo tutte le attività attraverso cui si snoda il processo.

Quindi, a titolo esemplificativo:

  • ove la Corte eserciti il potere d'ufficio di chiedere a una delle parti informazioni, documenti o qualsiasi altro elemento, le risposte e i documenti ottenuti vengono poi comunicati alle altre parti (art. 62 reg. proc. Corte);
  • le parti possono assistere all'assunzione dei mezzi istruttori (art. 65 reg. proc. Corte);
  • il diritto del convenuto alla partecipazione nel processo è garantita dalla notificazione del ricorso a cura della cancelleria (art. 123 reg. proc. Corte) e dalla possibilità di costituirsi con controricorso (art. 124 reg. proc. Corte);
  • è poi prevista la discovery successiva alla costituzione delle parti tramite deposito incrociato di replica del ricorrente e controreplica del convenuto (art. 126 reg. proc. Corte);
  • nel caso di proposizione di motivi nuovi viene generalmente riconosciuto alla controparte la possibilità di controdedurre (art. 127 reg. proc. Corte).

Anche il giudizio di impugnazione prevede disposizioni di analogo tenore: l'art. 171 reg. proc. Corte sulla notificazione dell'atto di impugnazione alle altri parti; l'art. 172 reg. proc. Corte sul diritto di presentare una comparsa di risposta da parte degli interessati (nozione più ampia di appellati); l'art. 175 reg. proc. Corte sulle repliche e controrepliche.
Disposizioni analoghe le ritroviamo nel processo avanti al Tribunale; ed anzi il processo che si celebra in Tribunale soggiace ad una regola


[PAGINE 127-137 NON DISPONIBILI]

25. L'ITER PROCESSUALE

Le fasi processuali:

Il processo europeo si apre con la proposizione del ricorso avanti all'organo giudiziario tramite deposito dell'originale, delle copie e del fascicolo.

Una volta passato al vaglio preliminare del cancelliere ed effettuate le eventuali integrazioni, l'atto viene notificato a cura della cancelleria alle parti resistenti (art. 123 reg. proc. Corte, art. 80 reg. proc. Trib.).

Il cancelliere pubblica nella Gazzetta Ufficiale i dati essenziali del ricorso: nomi delle parti, oggetto della controversia, conclusioni e sintesi dei motivi e delle argomentazioni.
L'incombente ha la finalità di rendere possibile l'intervento dei terzi.

Il processo che si potrebbe definire “esteso” prevede:

  • fase scritta;
  • relazione del giudice incaricato;
  • istruttoria;
  • fase orale;
  • decisione.

Al termine della fase scritta il Giudice relatore è in grado di riferire all'organo giudiziario, con apposita relazione, lo stato della controversia e i provvedimenti processuali e istruttori che risultano opportuni; quindi la Corte decide di dare corso all'istruttoria ovvero di passare alla fase orale.

La fase orale essenzialmente consiste nella discussione della causa. Non è un momento necessario del processo (v. infra).

L'apertura della fase orale non pregiudica l'espletamento dell'istruttoria o di un suo ampliamento ove ritenuto opportuno.

Il controricorso:

La parte contro la quale è rivolto il ricorso ha facoltà di costituirsi in giudizio, depositando un atto denominato controricorso.

Il controricorso deve contenere essenzialmente gli stessi elementi formali e sostanziali del ricorso e soggiace alle medesime regole in tema di rappresentanza, difesa e domiciliazione.

Il controricorso va presentato entro due mesi dalla notifica del ricorso; il termine è prorogabile, in via eccezionale, su richiesta della parte interessata (art. 124 reg. proc. Corte, art. 81 reg. proc. Trib.).


[PAGINE 139-144 NON DISPONIBILI]

26. LA DECISIONE

I provvedimenti del giudice:

La decisione giunge, di regola, dopo la chiusura della fase scritta e dopo l'espletamento dell'eventuale istruttoria e della eventuale fase orale. Quindi il giudice pronuncia la sentenza in pubblica udienza e il testo integrale viene notificato a ciascuna delle parti (art. 88 reg. proc. Corte; art. 118 reg. proc. Trib.).

La sentenza può essere anche parziale; l'art. 56 Statuto prevede l'impugnazione entro due mesi della pronunzia parziale sul merito della controversia.

Le decisioni del giudice si presentano nella duplice veste di ordinanze o sentenze. Accanto alle sentenze e alle ordinanze, talora i regolamenti di procedura menzionano le decisioni.

La sentenza può decidere una questione di rito o di merito.

L'ordinanza è di regola deputata a dare disposizioni sull'andamento del processo, pur essendo prevista in via eccezionale quale strumento di decisione sul merito o di definizione del processo. L'ordinanza viene adottata in tale funzione per:

  • decidere questioni pregiudiziali identiche ad altre già decise o di agevole soluzione (art. 99 reg. proc. Corte);
  • pronunziare l'irricevibilità del ricorso o l'incompetenza del giudice (artt. 53 reg. proc. Corte e artt. 126 e 129 reg. proc. Trib.);
  • respingere il ricorso per manifesta infondatezza (ex art. 126 reg. proc. Trib.,);
  • respingere l'impugnazione per manifesta infondatezza (art. 181 reg. proc. Corte e art. 208 reg. proc. Trib.);
  • accogliere il ricorso in caso di manifesta fondatezza (solo nel procedimento avanti al Tribunale ex art. 13 reg. proc. Trib.);
  • risolvere gli errori materiali (artt. 103 e 154 reg. proc. Corte e art. 164 reg. proc. Trib.);
  • cancellare la causa dal ruolo a seguito di transazione o rinuncia agli atti (147 e 148 reg. proc. Corte, artt. 124 e 125 reg. proc. Trib.);
  • dichiarare l'assenza di oggetto del ricorso e il non luogo a statuire sulla domanda (art. 149 reg. proc. Corte e art. 131 reg. proc. Trib.; si vedano anche art. 137 reg. proc. Corte e art. 133 reg. proc. Trib.).

Talora l'ordinanza definisce una fase o un aspetto del processo, il che accade:


[PAGINE 146-149 NON DISPONIBILI]

27. GLI EVENTI PARTICOLARI DEL PROCESSO

La contumacia:

Ai sensi dell'art. 152 reg. proc. Corte “se il convenuto, regolarmente citato in giudizio, non risponde all'atto introduttivo nelle forme e nei termini prescritti, il ricorrente può chiedere alla Corte di accogliere le sue conclusioni. Detta domanda è notificata al convenuto”. Dunque nel processo in contumacia si salta la fase scritta.

A garanzia del convenuto, prosegue l'art. 152 reg. proc. Corte, “prima di pronunciare la sentenza in contumacia, la Corte, sentito l'avvocato generale, accerta se il ricorso è ricevibile, se sono state adempiute le formalità prescritte e se le conclusioni del ricorrente appaiono fondate”.

Dunque, nel procedimento in contumacia, non vi è un accoglimento automatico del ricorso, di cui viene comunque vagliato il fondamento, ancorché la glossa “appaiono fondate” lasci arguire una valutazione meno approfondita rispetto al giudizio dove il convenuto è costituito.

Nel giudizio innanzi al Tribunale l'art. 123 reg. proc. Trib. non prevede che la richiesta di accoglimento delle conclusioni sia notificata al convenuto.

La norma dispone che “il Tribunale accoglie le conclusioni del ricorrente, a meno che non sia manifestamente incompetente a conoscere del ricorso o che il ricorso sia manifestamente irricevibile o manifestamente infondato in diritto”. Dunque, una valutazione di merito che sembra limitarsi al fumus del ricorso.

Il procedimento di domanda pregiudiziale non conosce la contumacia poiché la costituzione delle parti è soltanto eventuale, trattandosi di un rapporto diretto tra la Corte e il giudice nazionale.

La litispendenza e la connessione:

La litispendenza consiste nella parallela pendenza di due procedimenti uguali per identità delle parti e dell'oggetto dinanzi allo stesso giudice o a giudici diversi sempre facenti parte della giurisdizione europea.

L'unica connessione rilevante nel processo tributario è quella oggettiva, quando più cause vertono sul medesimo oggetto, nel senso di affrontare una stessa questione interpretativa o di validità di uno stesso atto delle istituzioni, oppure sul medesimo petitum. Risulta invece irrilevante la connessione soggettiva cioè l'essere, la causa, comune a più parti.


[PAGINE 151-155 NON DISPONIBILI]

29. IL PROCEDIMENTO AVANTI ALLA CORTE EUROPEA DEI DIRITTI DELL'UOMO

La Corte

Il funzionamento della Corte è regolato, oltre che dal Convenzione europea per la salvaguardia dei diritto dell'uomo, da apposito Regolamento interno. Tuttavia la Corte può derogare alle disposizioni del suo regolamento per l'esame di una causa particolare, dopo avere consultato le parti (art. 2 Reg.).

La Corte ha sede a Strasburgo ma, ove lo reputi opportuno, può esercitare le sue funzioni in altri luoghi del territorio dell'Unione europea.
La Corte decide di regola tramite le singole Camere, potendo però la decisione sul ricorso essere rimessa alla Grande Camera (artt. 25 e ss CEDU).

Il procedimento innanzi alla Corte è gratuito.

Per il corretto svolgimento del rapporto tra il ricorrente e la Corte è opportuno attenersi alle Istruzioni pratiche che vengono emanate dal presidente della Corte ai sensi dell'art. 32 Reg.

Il ricorso individuale:

Il ricorso avanti alla Corte Europea dei diritti dell'uomo è finalizzato a far valere, contro gli Stati che hanno sottoscritto la Convenzione internazionale per la salvaguardia dei diritti dell'uomo, le violazioni di tali diritti. Ai sensi dell'art. 32 CEDU, la competenza della Corte si estende a tutte le questioni concernenti l'interpretazione e l'applicazione della Convenzione e dei suoi protocolli.

Non è possibile ricorrere direttamente alla Corte EDU per una violazione derivante da una decisione o da un atto delle istituzioni dell'Unione europea.

Per quanto concerne i ricorsi individuali, l'accesso alla Corte è possibile dopo avere esaurito tutti i possibili rimedi ordinari di impugnazione previsti dall'ordinamento interno (art. 35 CEDU). Tale presupposto va dimostrato dal ricorrente.

Il ricorso individuale può essere introitato da una persona fisica, da un'organizzazione non governativa o da un gruppo di privati che sostenga essere vittima di una violazione.


[PAGINE 157-162 NON DISPONIBILI]